Non si lasci indietro nessuno
In queste parole, sta la sintesi di tanta parte della nostra vita.
Qualcosa c’è. In queste parole, sta la sintesi di tanta parte della nostra vita, anche quando questo “è” esiste invece come problema, come tragedia, come impotenza. Noi ci arrabbiamo, ci irritiamo, ci scontriamo, ci disperiamo perché non siamo d’accordo su questo qualcosa c’è; non lo capiamo e non lo accettiamo.
Vorremmo conoscere le modalità attraverso cui questo virus nasce e si diffonde.
C’è il modo con cui la persona si confronta con la malattia, c’è il modo con cui la singola persona si confronta con se stessa per vivere questa solitudine, queste ristrettezze, c’è il modo con cui la persona più fragile si confronta con un mondo chiuso e quasi ostile.
La svolta a questo qualcosa c’è l’ha data Papa Francesco proprio nella giornata della Divina Misericordia, ossia della bontà nella propria vita: personale, pubblica e delle imprese. Non è solo con la tecnica, con l’avanzamento del progresso, con la conquista di nuovi progetti, frutto di cultura, di conoscenza che si fa la nostra storia.
Non nega il Papa che tutto questo sia importante, ma questa crisi pandemica deve per forza portare qualcosa di nuovo.
Papa Francesco, nell’interpretazione del coronavirus, anzi del post-coronavirus, a modo suo raccomanda che nessuno venga lasciato indietro; letteralmente: ricostruiamo il mondo senza lasciare nessuno indietro.
In questo modo si mettono in discussione le grandi teorie della modernità: il capitalismo, l’economia finanziaria, il profitto a tutti i costi, la speculazione.
Si mettono in discussione anche alcune politiche mondiali del nostro tempo, in materia di immigrazione, di accesso alla sanità, di cura degli anziani, di educazione dei giovani.
C’è un virus ancora peggiore, dice il Papa, quello dell’egoismo indifferente. Bisognerà affrontare la crisi attuale in maniera solidale, perché questa pandemia ci ricorda che siamo tutti uguali, tutti fragili. Il coronavirus ci dimostra che non siamo noi a dirigere il mondo e che non siamo neanche noi a correggerlo quando succede.
In questo periodo, abbiamo scoperto che volendo andare avanti, volendo evitare il peggio, volendo evitare catastrofi mortifere, tutto il mondo deve unirsi. E’ una prova di unità, di pazienza, di contemperare i diversi progetti per affrontare l’emergenza. Certamente, si dovranno cambiare molti modi di lavorare nelle industrie della modernità: ad esempio, oggi un processo, pur nuovissimo, è già diventato arcaico. Qui siamo davvero all’industria 6.0.
Un primo cambiamento è quello interiore dell’uomo.
Un secondo cambiamento è quello dei rapporti, delle relazioni, del modo di interagire.
Bisognerà inventarsi un nuovo sistema di operare e di lavorare insieme, ma cambieranno anche molti riferimenti di carattere etico, morale. Si vede allora come davvero qualcosa c’è e questo qualcosa non sarà il coronavirus, ma un nuovo umanesimo.
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