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Se i media perdono il senso del limite

Nel "caso di Gioele" completamente ignorata la Carta di Treviso

Se i media perdono il senso del limite

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, questa lettera che oltre a stimolare una riflessione nei lettori, può contribuire ad una seria autocritica tutti gli operatori dei media.
Cara direttrice, sono molto, molto arrabbiata e anche molto, moltissimo rattristata.
Ormai da un mese tutti sappiamo, in Italia, che è morto un bambino, dal volto molto dolce, e anche la sua mamma, che nelle foto appare sempre sorridente.
Arrabbiata perché? Ma come è possibile che davanti ad una simile tragedia di doppia morte, che solo per essere accertata ci sono voluti giorni e giorni, ogni giorno, più volte al giorno, telegiornali, giornali, articoli che trovi nel cellullare, parlino continuamente e in modo ossessivo, con idee scarse e confuse, di Gioele e della sua mamma?
Perché non si chiudono i riflettori?
Perché i giornalisti e i cronisti non riescono a trovare qualche altra notizia da proporci, magari caratterizzata da un pizzico di positività?
Possibile che tutti i giornalisti e i cronisti a livello nazionale e ancora di più a livello locale, e quella vasta categoria di “professionisti” (redattori, direttori..) che tu ben conosci, non abbiano letto, studiato, imparato a memoria la Carta di Treviso, vecchia del secolo scorso e riscritta di recente, che parla di come è doveroso, etico, semplicemente buono, non sbattere in prima pagina i volti, i sorrisi, i nomi di bambini quando ci sono tragedie?
E questa è stata proprio una tragedia, indipendentemente dalle motivazioni e dalle azioni che hanno preceduto la morte di queste due povere creature in mezzo alla boscaglia.
Mi arrabbio ancora di più quando ripenso a quello che ha detto Papa Francesco all’udienza di alcune settimane fa. Si chiedeva perché nessuno parla, racconta, dà una corretta informazione, sul fatto che ogni giorno muoiono di fame migliaia di bambini nella nostra terra, bambini che avrebbero diritto ad un pezzo di pane ogni giorno. Sono arrabbiata con chi fa “informazione”.
So che è un diritto sapere cosa succede attorno a noi, ma detto una volta, al massimo 2, non basta? Forse che tutti gli italiani sono un popolo di voyeuristi che voglio vedere e rivedere le tragedie che succedono? Non credo!
Possiamo fare qualcosa? Possiamo chiedere che una tragedia come questa, e altre sono successe e sono state trattate sempre con questa modalità, sia coperta da un rispettoso silenzio?
Forze dell’ordine, avvocati, magistrati, parenti hanno sicuramente il dovere/diritto di sapere cosa è accaduto, ma noi possiamo proprio essere lasciati all’oscuro di tutto ciò.
E poi sono tanto, tantissimo rattristata.
Perché questi “professionisti dell’informazione” non hanno il minimo rispetto, la minima attenzione per la capacità di ascoltare e per la sensibilità emotiva di migliaia e migliaia di bambine e adolescenti bersagliati ogni giorno, più volte al giorno, dal volto di Gioele e da quello della sua mamma?
Perché non si sono mai interrogati sulla reazione emotiva, sulla catena di pensieri, che i loro titoli possono provocare nelle testoline anche dei loro figli, sicuramente in quelle dei miei nipoti.
I bambini pensano, riflettono, ritornano con il pensiero su una frase sentita, molto di più di quello che tanti adulti pensano.
Quali tragiche domande hanno suscitato in tutte questa settimane nelle testoline di bambini, ragazzi e adolescenti questi "pessimi titoli e sottotitoli" caratterizzati da parole come omicidio; suicidio; fuga; aggrediti da animali.
Quanta amarezza! Perché, oggi nel 2020, gli adulti italiani non sanno proteggere i bambini e i ragazzi?
Mi si può obbiettare che la matrigna di Biancaneve ordinava di uccidere Biancaneve, ma la fiaba raccontava che il buon cacciatore risparmiava Biancaneve che trovava prima i nanetti e poi il suo principe.
Erano altri tempi, più a misura di bambino, caratterizzati da un buon realismo e un corretto rispetto per la sensibilità dei bambini, che vedevano sì il vecchio nonno morire in casa, la mucca partorire il vitellino, ma erano allontanati e protetti da scene di violenza.
Come vecchia psicologa ricordo il lavoro di rassicurazione emotiva svolto con 2 bambine e un adolescente, turbati, tanto da svegliarsi di notte, per la tragedia di Cogne. Una di queste bambine mi diceva. "ma io avevo sempre avuto la certezza che una mamma può solo volere bene, ma allora non è sempre così?".

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