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Quell'estate di cento anni fa

Quando i nostri fanti ressero all'offensiva del solstizio. Nell’estate di cent’anni fa sulle rive del Piave si decisero le sorti della Grande guerra.

Nell’estate di cent’anni fa sulle rive del Piave si decisero le sorti della Grande guerra. I nostri fanti ressero l’urto della grande offensiva del solstizio e nella controffesiva arrivarono a Vittorio Veneto.
Dopo la disfatta di Caporetto l’esercito era stato ricompattato e si era addentrato a una guerra di posizione, in trincea.
Nel 15 e nel 16 i nostri avevano combattuto come nel Risorgimento, andando all’assalto in scontri frontali e venendo falciati dai mitraglieri nemici o dal fuoco micidiale dei cecchini, per lo più guide alpine delle nostre vallate che allora erano ancora sotto Cecco Beppe.
Pochi tiratori scelti, da picchi inacessibili fermarono l’avanzata delle nostre divisioni.
Approfittando della pausa invernale, nel 17, le squadre di zappatori scavarono due linee di trincee lungo il Piave, con camminamenti, rifugi sotterranei e barriere di filo spinato.
A giugno la guerra si risvegliò. Non erano mancate le avvisaglie. A fine maggio ci fu un aspro scontro per la conquista della cresta del Ponticelli che domina il passo del Tonale. Gli italiani avevano battezzato la posizione nemica "La sgualdrina". Dice una canzone degli alpini: "In cima al Ponticelli c’è l’ufficio passaporti. / Quelli che ne salgono vivi ne scendono morti".
L’alpino bresciano Pietro Brera, 25 anni, racconta: "Quell’austriaco e un nostro caporale stavano sdraiati. A me è parso fossero addirittura abbracciati dentro la buca di una granata, morti tutti e due i nemici di poche ore prima, abbracciati nella morte".
Il 15 giugno l’Austria sferrò la grande offensiva, da Asiago alle foci del Piave con la convinzione che questa volta sarebbero arrivati fino a Milano. E’ l’operazione "Lawine -valanga" che aveva l’obiettivo di sfondare sul Piave e di arrivare al Bacchiglione. Venne chiamata Radetzki, collegata con l’operazione "Albrecht" che puntava su Treviso.
Gli austriaci fanno leva sulla fame. Promettono un bottino ricco, libertà di saccheggio ed emettono una speciale moneta d’occupazione diffusa esageratamente dalla "Cassa Veneta dei prestiti". Qualcuno la chiamerà "l’offensiva della fame" perché le truppe sono in condizioni pietose e la popolazione civile dell’Austria è in gravi difficoltà. I governanti sperano di galvanizzare le une e le altre con la prospettiva di "un buon bottino nel Veneto" come scrive Giuseppe Piemontese, storico del movimento operaio a Trieste.
L’Italia schiera 680 battaglioni, appoggiati da settemila pezzi di artiglieria, molti più uomini e armi che a Caporetto.
Questa volta però manca la strategia degli ufficiali austro ungarici. Non c’è la sorpresa dell’ottobre del 17 sull’Isonzo. I tedeschi usano l’artiglieria alla vecchia maniera, soprattutto disperdono lo sforzo su un fronte troppo lungo. A Caporetto si erano concentrati su un passaggio obbligato di 25 chilometri.
Una rete di spie segnala in tempo al nostro comando i movimenti austroungarici e il generale Diaz invia un dispaccio alle varie armate. "Gli avvenimenti militari e politici fanno pensare che il nemico si preparari a un grande sforzo e che, dei prossimi avvenimenti, il fronte sarà il teatro decisivo delle operazioni militari". Questa volta nessuno snobba la segnalazione com’era successo l’autunno prima e schierano le truppe in profondità in modo che se anche il nemico passa il Piave, come accadrà non le aggirerà. La lezione di Caporetto è stata capita e serve come esperienza.
Gli austroungarici sono sicuri di vincere ma anche gli italiani sono certi di farcela. I primi lanciano 170 mila proiettili a gas; ma la difesa ora è adeguata. Tutti hanno la debita protezione. Sono arrivate maschere francesi e inglesi. Sperimentate su altri fronti. Tutti hanno armi e munizioni sufficienti.
Qualcosa è mutato anche sul fronte politico. Il 16 giugno, proprio mentre gli austriaci sferrano "l’atacco del solstizio", il leader socialista Filippo Turati pronuncia alla Camera parole nuove e impegnative. Il governo, prima in gran parte non interventista, scende in campo compatto. Il ministro Bissolati corre ad abracciare il vecchio socialista.
Il clima è davvero cambiato e al fronte si combatte dall’Astico al mare quella che resta nella storia come la "battaglia del solstizio".
Le perdite sono di 87 mila italiani (metà prigionieri), 117 mila (24 mila prigionieri) degli austriaci negli assalti falliti. Fu la battaglia decisiva.
Il 19 maggio sui cieli del Montello viene abbattuto il leggendario pilota della nascente aereonatica italiana, Francesco Baracca. Aveva ingaggiato 63 duelli aerei e abbattuto 34 aerei nemici.
Il 29 luglio Gabriele D’Annunzio compie un’impresa delle sue. Su un aereo biposto vola sul cielo di Vienna lanciando migliaia di volantini in cui invita gli austrongarici a ribellarsi agli Asburgo.
Gesto ardito e inutile per sentirsi eroe ad ogni costo. A dirla tutta gli unici eroi sono stati i tanti caduti e feriti che per la storia restano militi ignoti.
Ma si sa che parlando di Patria si rischia spesso di confondere la storia con la leggenda. Noi stessi, per fare un esempio, continuiamo imperterriti a celebrare questi eventi con il noto canto "La leggenda del Piave" in cui il 24maggio è un falso storico. E’ certo quello il giorno in cui l’Italia entrò in guerra. Ma il fiume su cui iniziarono le ostilità non fu il Piave ma l’Isonzo

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