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Grande guerra: sacerdoti oltre il Piave nell'occupazione

Il clero dopo Caporetto: chi seguì le popolazioni in fuga per non lasciarle al loro destini; chi restò nel territorio.

Parole chiave: Centenario (13), Grande Guerra (4), Sacerdoti (18)
Grande guerra: sacerdoti oltre il Piave nell'occupazione

  Dopo la disfatta militare di Caporetto, la classe politica locale, sotto l’incalzare dell’invasione nemica, si volatizzò. Il clero, seppur con delle eccezioni, rimase fedele alla direttiva del Vaticano. "È volere dell’augusto pontefice che, anche in caso d’invasione, tutti gli ecclesiastici, vescovi e sacerdoti, rimangano al loro posto, per compiere con la dovuta abnegazione il proprio dovere e infondere agli altri la calma tanto necessaria in sì dolorose circostanze".
Nelle diocesi della Sinistra Piave i vescovi esortano il clero a restare al proprio posto. Dalla Curia della diocesi di Concordia non sembra sia partita una precisa direttiva, ma gli obblighi dei parroci comprendono il dovere di stare sempre accanto ai propri fedeli, anche se costretti ad abbandonare il paese.
Il vescovo Isola telegrafò al segretario di stato Vaticano lamentando l’allontanamento dell’intero Capitolo, degli insegnanti del Seminario e del vicario generale: "Quasi totalità parroci e sacerdoti trovansi proprie parrocchie con loro popolazione" e aggiunse che l’archivio vescovile era stato distrutto ed era difficile quantificare il numero degli esuli. Dagli atti capitolari, parzialmente riportati da mons. Bruno Fabio Pighin nel primo volume de Il Seminario di Concordia - Pordenone, pagg. 594-528, apprendiamo i loro nomi e i luoghi di approdo. Per i canonici: Paolo Sandrini, vicario generale, Roma; Ernesto Degani, decano, prima a Ferrara e poi nel modenese; Domenico Miorini in diocesi di Firenze; Marco Belli a Firenze città; Massimino Morello (con G. B. Bidoli) presso la Casa della Divina Provvidenza del Beato Cottolengo di Torino. "Tutti si mantennero sempre uniti e in attiva corrispondenza con il loro Rev.mo Decano Mons. Ernesto Degani. Di pieno accordo si provvide alla celebrazione delle SS. Messe ’pro benefactoribus’".
I professori del Seminario Giuseppe Maieron, Antonio Pascotto, Paolo Martina, Lorenzo Toffolon, Angeli Jacuzzi e il vice cancelliere di Curia Luigi Martin, furono subito chiamati a insegnare nei seminari dei luoghi di approdo.
In tutto sono dodici, poiché alcuni canonici erano anche professori del Seminario e c’erano insegnanti titolari di parrocchie, cui vanno aggiunti undici parroci e otto cappellani. Fra i parroci anche i titolari di S. Andrea di Portogruaro, mons. Gio Batta Titolo e di S. Marco e San Giorgio di Pordenone, mons. Luigi Branchi don Giuseppe Peressini, oltre agli altri titolari delle parrocchie pordenonesi.
Nei due centri più importanti si ebbe un maggior numero di profughi, non solo perché vi abitavano più persone benestanti, ma anche a causa delle intimidazioni di sgombro per il possibile arresto del nemico al Tagliamento, con conseguente istallazione dei comandi militari nelle due città. Per tale motivo nel centro cittadino di Portogruaro rimasero soltanto centoventi abitanti, tutti contadini. Ovunque era fatta passare la voce che si trattasse di allontanamento provvisorio.
Per mons. Titolo e mons. Branchi va precisato che partirono con la grande maggioranza della loro gente, secondo la regola di "non abbandonare in nessun caso i figli spirituali loro affidati".
Don Giovanni Forgiarini, parroco di Cesarolo, supplicato dai fedeli in fuga di essere accompagnati fino a Venezia, convinto di poter far subito ritorno, si trovò in un treno diretto a Firenze e da qui a Messina.
I cappellani esuli erano titolari di cappellanie, non aiuto-parroci, per lo più di nomina comunale per diritto di juspatronato, come don Natale Teban (cl. 1844) a San Vito, morto il 4 novembre 1917, appena giunto nella Piccola Casa a Torino, e don Marianini nob. Stefano (cl. 1858) a Fossalta di Portogruaro, deceduto a Modena presso la sua famiglia originaria di Fossalta.
Anche mons. Bidoli, canonico penitenziere della cattedrale di Concordia e docente del Seminario, morì profugo in Italia nella Piccola Casa di Torino, il 9 novembre 1917, all’età di 83 anni.
I sacerdoti diocesani rimasti sono stati stimati in 178, mentre una cinquantina si trovava in servizio militare: le classi alle armi erano ben ventisei. I titolari di parrocchia furono subito rimpiazzati con i loro vicari o con l’aggregazione della parrocchia a una contermine.
Partirono anche le suore del beato Cottolengo di Torino, addette al Seminario.
Un censimento dell’occupante, reso noto nel maggio 1918, rileva 186 sacerdoti presenti nei cinque distretti: Pordenone 52, Portogruaro 46 (comprendeva Caorle), San Vito 38, Maniago 19 e Spilimbergo 31. Al vescovo Isola fu tolta l’iniziale proibizione di sospendere la visita pastorale in atto e il 25 maggio effettuò anche quattro ordinazioni sacerdotali alla Santissima di Polcenigo.
Il vescovo non accolse bene i sacerdoti profughi al loro rientro, non concesse attenuanti e rimosse numerosi sacerdoti che prima ricoprivano importanti incarichi a livello diocesano, primo fra tutti il vicario generale mons. Sandrini.
Gianni Strasiotto

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