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S.E. Redaelli (Caritas Italia) sui Migranti: facile creare paure e poi ergersi come coloro che le controllano

Intervista a S.E. mons. Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e nuovi direttore di Caritas Italia sulla questione migranti e Italia

Parole chiave: Migranti (64), Redaelli (2), Caritas (38)
S.E. Redaelli (Caritas Italia) sui Migranti: facile creare paure e poi ergersi come coloro che le controllano

   E’ molto agevole cercare delle scorciatoie. La piu’ facile è creare paure o, meglio, far percepire paure a livello emotivo e non pensato, per poi proporsi come coloro che le controllano in nome del ’popolo’". Da poco alla guida di Caritas italiana sta vivendo una fase molto delicata della vita politica e sociale del nostro paese. L’Arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente della Commissione episcopale per il Servizio della Carità e salute, nell’intervista rilasciata all’agenzia Dire non si sottrae alle domande.
Papa Francesco chiede ai cattolici di fare politica ’alta’, al servizio di tutti. In Italia prevale un atteggiamento di scontro...
Nei momenti di passaggio e crisi, quando è difficile vedere il nuovo, quando si vive quell’atteggiamento che Bauman ha definito ’retrotopia’ (è il contrario di ’utopia’, è un guardare indietro invece che avanti) è molto agevole cercare scorciatoie. La più facile è creare paure o, meglio, farle percepire a livello emotivo e non pensato, per poi proporsi come coloro che le controllano a nome del ’popolo’. É un gioco pericoloso: prima o poi i mostri creati da chi vuol fare il loro domatore si ribellano contro chi li ha fatti nascere; Ma intanto hanno provocato disastri nel tessuto sociale, disorientato le persone, fatto saltare i valori condivisi, creato conflitti. Ricostruire dopo la tensione verso il bene comune diventa molto difficile.
Non pensa sia necessario un salto culturale quando si parla di immigrati e di accoglienza? I contrari scateno l’odio e lo usano a fini poltici, ma è giusto essere sempre favorevoli?
Il salto culturale dovrebbe consistere in negativo nel non usare il problema dei migranti come tema di scontro politico e questione discriminante che divide in due fazioni contrapposte e, in positivo, nell’affrontarlo nella sua complessità ben sapendo che non si può risolverlo, ma lo si può ’governare’. Governare significa farvi fronte con la necessaria pacatezza, vedendo tutti gli aspetti della questione, cercando di fare insieme (anche con le nazioni della Comunità Europea) i passi possibili.

Quali ad esempio?
Passi possibili, ma non facili, né immediati: aiutare a risolvere le situazioni di guerra, di povertà, di persecuzione che sono all’origine di massicce emigrazioni (si pensi a Siria, l’Iraq, l’Eritrea, ecc.); trovare modalità di ingresso regolamentate e sicure; garantire a chi ha diritto allo status di rifugiato la necessaria accoglienza; favorire i ricongiungimenti familiari; accompagnare processi di integrazione... e così’ via.

Prima gli italiani o il principio di eguale trattamento? C’è chi dice che si favorisce chi arriva e non chi vive qui da sempre...
Mettere in contrasto tra loro i poveri e i bisognosi è un vecchio, ma sempre efficace, sistema di chi detiene il potere e i soldi. Certe discriminazioni tra italiani e stranieri sono incomprensibili. Per esempio, non garantire ai bambini e ai ragazzi la possibilità di frequentare le scuole, accampando come scusa che per favorire l’integrazione gli alunni stranieri non devono superare una certa percentuale in ogni classe. Principio del tutto condivisibile, purché si attivi un numero sufficiente di nuove classi, se quelle esistenti non bastano, e non si lascino in mezzo alla strada dei bambini e dei ragazzi. Tra l’altro esperienze di rifiuto subite da piccoli lasceranno sicuramente una traccia indelebile in chi diventato grande, rsterà qui da noi. Analogo discorso va fatto quando si pone un limite eccessivo per l’accesso a determinate possibilità (per esempio ottenere una casa popolare) in riferimento agli anni di permanenza in Italia, anche in presenza di altri requisiti (per es. un regolare contratto di lavoro).

Anche tra i giovani cresce il razzismo, la risposta violenta... la scuola fa tanto ma non basta. Che fare?
I ragazzi - ma la cosa vale anche per gli adulti - si convincono non di fronte a generici appelli, ma quando incontrano storie vere, persone reali, meglio se in presa diretta. Quando i migranti, i carcerati, i senza fissa dimora smettono di essere un’etichetta e diventano persone con un volto, una voce, una vicenda, un incontro, allora tutto cambia.

E pensare che il nostro vecchio Paese ha bisogno di immigrati...
La crisi demografica è un meccanismo che si autonutre e si sblocca a fatica. Mi spiego: una società che invecchia, ha meno prospettive, meno voglia di rischiare, meno futuro: è una società che invecchia ancora di piu’, allontana i giovani (che vanno spesso altrove), non favorisce la loro autonomia anche economica, da’ loro poco spazio, li scoraggia... A questo punto chi ha voglia di fare una famiglia, chi ne ha le risorse, chi rischia di fare figli? Mi dispiace, ma su questo non mi pare ci siano grandi prospettive".
(Npe/ Dire)

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