Costume e Società
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Una bussola di sette parole

Riflessioni utili per non perdersi nei labirinti della demagogia

Una bussola di sette parole

In questo tempo di cambiamenti e conflitti che ci sfidano non possiamo correre il rischio di seguire ciò che leggiamo nel Gattopardo: "Viviamo in una realtà mobile alla quale cerchiamo di adattarci come le alghe si piegano alla spinta del mare". Bisogna reagire. Una reazione a cui possiamo dar forma considerando sette parole.
Paura. Instillare la paura del caos è diventata una strategia per il successo politico, si alzano i toni della conflittualità, si esagera il disordine, si agitano gli animi della gente con la proiezione di scenari inquieanti. Questa retorica evoca forze potenti, ma forse non del tutto emerse ancora dal profondo della società e dell’opinione pubblica. La riflessione politica sarà irrilevante con le paure dei nostri contemporanei che sono attratti dalla cultura fondamentalista. Ai leader religiosi coreani Papa Francesco ha chiesto di usare parole che si differenzino dalla narrattiva della paura e di compiere gesti che si oppongano alla retorica dell’odio. Recentemente ha pure affermato: "Servono leader con una nuova mentalità. Non sono leader di pace quei politici che non sanno dialogare e confrontarsi... Serve umiltà non arroganza...".
Ordine. I rapporti tra Europa, Stati Uniti, Russia, Cina sono in ebollizione... alla ricerca di un nuovo ordine mondiale che attualmente pare un gran disordine... Più che mai il disordine reclama una solida collocazione internazionale dell’Italia e un’attività politica estera specialmente nel Mediterraneo, punto di incontro fra Europa, Africa e Asia. Forse bisogna cercare un nuovo ordine Mediterraneo.
Migrazioni. I flussi migratori siano una delle priorità dell’Unione europea dei prossimi anni perchè rischiano di essere il grimaldello per far saltare l’Europa. Non sfuggono a nessuno le conseguenze del rimescolamento delle identità tradizionali e lo spaesamento che provoca: bisogna affrontalo con discernimento. Occorre non tradire mai i valori di fondo dell’umanità ma metterli in pratica tenendo conto della situazione in cui si opera. Concretamente è necessario lavorare all’integrazione.
Popolo. Per i populismi che sperimentiamo oggi, la forza di una democrazia dipende dall’esistenza di un popolo relativamente omogeneo, con una identità precisa e riconoscibile fondata sulla coesione etnica. Ma attenzione, perchè quando l’identità etnica si pone al di sopra della persona, secondo Jacques Maritain, non vi è più alcun baluardo al totalitarismo politico, le tradizioni antiliberali costituiscono ponti ideologIci per le attuali forme aggressive di populismo. Il rischio oggi per la Chiesa è altissimo: l’appartenere senza credere. E questo trasforma la religione in ideologia. Sarebbe la morte della fede. Non possiamo ridurre la questione del popolo a "populismo". La questione del popolo è una cosa seria, scriveva il cardinale Bergoglio nel 2010. "Non serve un progetto di pochi e per pochi, di una minoranza illuminata o di testimoni che si appropria di un senso collettivo. Si tratta di un accordo sul vivere insieme". E’ la volontà espressa di essere popolo-nazione nel contemporaneo". Queste parole scritte dall’allora primate d’Argentina dopo le elezioni del 4 marzo 2010 suonano come l’ammonimento più urgente anche per l’oggi. "Non serve più formare i giardini delle elites e discutere al caldo dei caminetti degli illuminati. Non bastano più le raccolte di anime belle. Facciamo discorsi belli e illuminanti, ma la gente è altrove. Il grande rischio è di immaginare il popolo in forma di "massa anonima". La verità è che "molte persone si avvicinano ai partiti populisti e alle sette fondamentaliste perchè si sentono lasciate insietro". Ecco perchè la questione centrale è oggi quella della democrazia.
Democrazia. Emerge anche in Europa l’ossimoro di democrazie che possono morire per mano di leader eletti democraticamente. Sembra ormai insostenibile il divario tra il carattere globale dell’economia, della comunicazione e, ancor di più, della finanza e la dimensione locale può divenire solo una questione amministrativa. Si è incrinata la fiducia nei sistemi democratico-liberali, si ha perfino simpatia per una certa improvvisazione che alimenta un senso di apparteneza. La democrazia rappresentativa parlamentare è destinata dunque ad estinguersi? Assolutamente no, ma la domanda di una democrazia immediata, della quale si immagina che la rete possa essere il luogo di azione sembra averla messa in difficoltà. Qui c’è un problema, e anche una sfida da cogliere. Non possiamo far finta che la rete non esista e dobbiamo prendere atto pure che il consenso si forma e si esprime anche nell’ambiente digitale. Il disagio si esprime soprattutto lì. Come fare per vivere la rete come forma di partecipazione democratica senza cadere nelle scorciatoie demagogiche?
Partecipazione. Scriveva il Papa, sempre in quel testo del 2010, che occorre recuperare l’effettività di essere cittadini. Occorre trasformsrsi "da abitanti a cittadini". Questo, in fondo, è il vero problma dell’Europa che ha ancora tanti abitanti che non si sentono cittadini europei.

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