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2, giugno 1946: con la Repubblica si scelse democrazia e libertà

Oggi è cambiato radicalmente il ruolo dei partiti politici e il significato dI "partecipazione"

2, giugno 1946: con la Repubblica si scelse democrazia e libertà

La festa della Repubblica ricorre in un tempo che alcuni hanno voluto paragonare a quello del 2 giugno 1946.
I due momenti storici, pur presentando alcune similitudini, sembrano caratterizzati da elementi ben diversi.
Alle giovani e meno giovani generazioni, l’esistenza della Repubblica appare come uno stato ben definito, del quale spesso non conoscono le origini. Per gli anziani essa rappresenta la conquista della democrazia e della libera scelta del capo dello Stato da parte di un popolo sofferente per le distruzioni della guerra.
La fine della Monarchia in Italia avvenne in seguito ad un evento storico: il referendum del 2 giugno 1946 che chiamò tutti gli italiani a scegliere fra Monarchia e Repubblica.
I voti per la Repubblica furono 12.718.019 e quelli per la Monarchia furono 10.709.423.
Gli italiani mostrarono infatti di non aver più fiducia nella monarchia, ritenuta responsabile di aver consegnato il Governo nelle mani di Mussolini. Re Umberto II, salito al trono da poche settimane dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele III, lasciò quindi l’Italia per andare in esilio in Portogallo
Pagava con la perdita del trono gli errori che avevano caratterizzato il comportamento di suo padre.
Per la prima volta alle donne fu permesso di votare. Fino al 1946 le donne, anche se fornite di cultura superiore, non avevano diritto di voto. Poteva così capitare che fosse inibito di votare ad una professoressa mentre poteva votare qualsiasi uomo, anche se analfabeta.
La scelta referendaria non fu la sola alla quale furono chiamati uomini e donne perché, contemporaneamente, si votò per l’elezione dell’Assemblea Costituente, che elesse Enrico De Nicola come capo provvisorio dello Stato e poi primo Presidente della Repubblica e procedette alla stesura ed all’approvazione della Costituzione con l’apporto della quasi totalità dei suoi membri.
L’Italia del 1946 era un paese cosparso di macerie, minacciato dalla carestia che fu evitata grazie all’intervento degli americani, i quali ci sostennero con il piano Marshal e con le loro navi che trasportarono dei beni come il grano. Nonostante tutto, la voglia e la grinta per ripartire nel migliore dei modi fu notevole.
La nostra società si incamminò lentamente verso la ricostruzione, sia materiale – città, case, impianti industriali e infrastrutture stradali e ferroviarie distrutte dai combattimenti e dai bombardamenti aerei – sia istituzionale, dopo venti anni di fascismo.
Pur nella dialettica politica, spesso aspra, che vedeva la partecipazione di partiti in linea con la contrapposizione internazionale fra stati liberali e stati comunisti, lo slancio verso una società diversa, fondata su uguaglianza e solidarietà, fu comune a tutti i partiti.
La ritrovata partecipazione alla vita politica dei cittadini attraverso i partiti, consentì ai responsabili di governo ed al potere legislativo di raccogliere le istanze che provenivano dal popolo e di trasfonderli in leggi ed in attività amministrativa.
L’Italia nella quale ora viviamo è il frutto di una visione rivolta al bene comune che, purtroppo si è andata con il tempo dissolvendo.
La pandemia chi ci sta colpendo, pur dimostrando una buona capacità di tutti noi di resistere alle difficoltà che ne conseguono, ha svelato la frammentazione della classe dirigente, lontana dal senso di comunità e dalla convergenza verso quelle scelte comuni che il momento richiederebbe.
Avvertiamo la insignificanza, se non la scomparsa, dei partiti politici e l’assenza di una partecipazione popolare alle decisioni che la grave situazione ci imporrebbe di avere.
Assistiamo così nel dibattito politico, alle rivendicazioni verso la Stato di una molteplicità di diritti che lo Stato non è in grado di soddisfare, ed alla richiesta di interventi immediati che, purtroppo, la struttura ammnistrativa-burocratica non è in grado di offrire.
Nello stesso tempo, la riapertura delle attività commerciali e artigianali e la serietà e l’impegno che gli operatori di tutte le categorie stanno dimostrando nel seguire le indicazioni di sicurezza, ci inducono a sperare che, come i nostri padri sono riusciti a superare le enormi e più tragiche realtà del dopoguerra, anche noi sapremo uscire più sicuri e responsabili da questo cataclisma.
* Già Presidente del Tribunale di Pordenone

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