Vaccino anti Covid? Uno scudo che dura nel tempo
Il medico di base parla delle prospettive
Beh, oggi mi sento tanto pecora, rigorosamente in fila, saltellando felice verso il mio singolare gregge. Proprio quello che mi garantirà una totale immunità nei confronti del coronavirus, lupo rapace deciso a portare morte e sventura.
Ma siamo sicuri che verso settembre avremo raggiunto la fatidica immunità di gregge? Quella che per molti si porrebbe attorno al 65-70% dei vaccinati?
Veramente non lo sappiamo ancora, ma è una pia illusione limitarsi a queste percentuali nei confronti delle persone fragili o degli over-60. Queste categorie devono raggiungere anche il 100% o poco meno, altrimenti un terzo della popolazione sarebbe a rischio.
Ancora troppe persone non vogliono vaccinarsi o restano dubbiose.
E poi resta il grande problema dell’immunità nei Paesi poveri. In un mondo globalizzato, senza una copertura mondiale del vaccino, il virus continuerà a circolare sviluppando nuove varianti aggressive e anche siero-resistenti. Infatti, il nostro SARS-CoV-2, come quasi tutti i virus, presenta diverse mutazioni del genoma, già osservate fin dai primi mesi della pandemia. E’ un aspetto usuale giacché il virus, che può sopravvivere solo all’interno delle cellule, favorisce ogni condizione che gli permette di diffondersi maggiormente nell’ospite.
Quali varianti in Italia?
Quella detta inglese (B.1.1.7) circola nell’88.1% (era quasi il 92% un mese fa). Ha una trasmissibilità superiore del 37% rispetto al virus originale.
La variante brasiliana (P.1) ha raggiunto il 7.3%, è diffusa specie nell’Italia centrale. Le altre (sudafricana, indiana e giapponese o E484K) non superano l’1%. La buona notizia è che i vaccini funzionano anche nei confronti di queste varianti. In particolare uno studio osservazionale in Israele rileva che due dosi di vaccino Pfizer conferiscono una protezione del 96.5% dal virus, e del 98% contro ricovero o morte (100% nelle persone tra i 16 e i 44 anni). Anche Moderna, Janssen e Astra Zeneca sono in grado di bloccare le varianti inglese, brasiliana e sudafricana. E quanto dura l’immunità? A oggi non esiste una risposta definitiva. Dopo il contatto con il virus inizia la produzione di anticorpi che raggiunge il picco dopo circa tre settimane. Ma anche dopo il calo degli stessi, resta la memoria immunologica dei linfociti B e T (globuli bianchi specializzati nella nostra difesa): i primi iniziano a crescere dopo sei mesi ricominciando a produrre nuovi anticorpi, i secondi (T helper) aiutano e dirigono una giusta riposta o (T killer) fanno piazza pulita delle cellule infette. Perciò è probabile che la protezione del vaccino possa durare almeno 7 mesi.
E il richiamo? Finché il coronavirus non sarà debellato a livello mondiale, si renderà necessario un ulteriore ciclo vaccinale, da ripetere poi periodicamente.
I primi a sottoporsi al richiamo saranno i sanitari e gli over-80. Ma prima bisognerà valutare il titolo anticorpale, a sei mesi dalla seconda dose, per conoscere l’esatta durata dell’immunità e quindi decidere i giusti tempi del richiamo. Inoltre sarebbe opportuno predisporre di una versione aggiornata del vaccino, magari a tecnologia RNA, a prova di nuove varianti.
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