La guerra dei vaccini
Siamo a tre vaccini contro il Covid approvati dall'Unione europea e prima sostenuti e prenotati a suon di milioni di euro. E' giunto il via libera anche all'AstraZeneca, dopo i sì a Pfizer BioNtech e Moderna. Peccato però che tra il dire e il fare ci sia in mezzo un mare di ritardi nelle consegne. Un mare burrascoso, tra minacce di cause legali, accuse di vendite nascoste, rivendicazioni di priorità pre acquisite e non rispettate. E senza il salvagente del vaccino nel mare del Covid19 le persone si ammalano, soffrono e rischiano di affogare.
E così siamo a tre: tre vaccini contro il Covid approvati dall’Unione europea e prima sostenuti e prenotati a suon di milioni di euro. E’ giunto infatti il via libera anche all’AstraZeneca, dopo i sì a Pfizer BioNtech e Moderna. Peccato però che tra il dire e il fare ci sia in mezzo un mare di ritardi nelle consegne. Un mare burrascoso, tra minacce di cause legali, accuse di vendite nascoste, rivendicazioni di priorità pre acquisite e non rispettate. E senza il salvagente del vaccino nel mare del Covid19 le persone si ammalano, soffrono e rischiano di affogare.
Chiarissime le parole del Commissario per l’Emergenza Domenico Arcuri, che confessando “stupore, preoccupazione e sconforto” ha confermato: “Attualmente ci mancano almeno 300mila dosi di vaccino che avremmo dovuto ricevere e che non abbiamo ricevuto” (conferenza del 29 gennaio).
Questi i numeri: l’Italia aveva prenotato alla Pfizer oltre 8,6 milioni di dosi da avere entro il 31 marzo. L’azienda statunitense è stata la prima a dare forfait e, pur garantendo la ripresa delle consegne, non arriverà che al 45% delle dosi pattuite (3,5 milioni). Dopo la Pzifer, anche la britannica AstraZeneca ha annunciato per il primo trimestre 2021 il taglio del 60-75% delle 40 milioni di dosi fissate in agosto. Infine, pure Moderna (Usa) ha comunicato la riduzione del 20% delle dosi (132mila e non 166mila).
Tutto questo ha due dirette conseguenze: il ritardo della campagna vaccinale programmata e la posticipata immunità per milioni di persone. “Difficile partire con la campagna vaccinale senza i vaccini” ha chiosato, lapalissiano, Arcuri.
Eppure in ben altro modo era cominciata: nei primi quindici giorni di gennaio l’Italia aveva vaccinato oltre 81mila persone, ridotte a 39mila nella seconda quindicina a seguito delle mancate consegne. Così, se ai primi del mese eravamo il primo paese in Europa per vaccinazioni somministrate (200mila in più della Germania), alla fine ci siamo trovati con 400mila vaccinazioni in meno della Germania e 4mila in meno anche della Turchia.
Il Commissario ha dichiarato che “l’Italia ha avviato tutte le azioni possibili per la difesa della salute degli italiani”. E, dato che ritardi gravano anche sugli altri stati europei, la stessa Unione ha annunciato azioni legali, invocando trasparenza da parte delle aziende, dato che “l’Europa ha investito miliardi per per aiutare a sviluppare i primi vaccini al mondo antiCovid… Ora le compagnie devono mantenere la parola, onorare i loro obblighi” (la presidente Ursula von der Leyen al Word Economic Forum, 25-29 gennaio).
Che cosa ritarda le previste consegne? AstraZeneca ha reso noto problemi con la linea produttiva belga e Moderna con la Svizzera, dove ha sede l’azienda che produce una delle componenti del suo vaccino. Non mancano sospetti per possibili vendite delle dosi a paesi che pagano meglio (si sono letti i nomi di Israele, Emirati Arabi e Sudafrica). Al contempo, con una polemica poi rientrata, Londra aveva a sua volta incolpato l’Ue di volere arrogare solo a sé il vaccino, penalizzando il Regno Unito che – causa Brexit – dall’Ue è fuori ma dalla pandemia no: il dilagare della variante inglese e il superamento del tetto dei centomila morti rende evidente l’urgenza del vaccino. Sta di fatto che, se l’Italia ha perso posizioni nella classifica dei paesi più vaccinati, il Regno Unito le ha guadagnate (in compagnia di Usa, Cina, Israele ed Emirati Arabi).
Nella pandemia il mondo è ancora immerso: l’ultima settimana di gennaio ha registrato il record di vittime per Covid, 100 mila in sette giorni.
Nella difficoltà generale è anche chiaro che le mancate consegne pesano a chi non ha altro che quelle. I grandi paesi hanno un vaccino su cui contare: la Cina con Sinopharm, la Russia con lo Sputnik, gli Usa con Pfizer e Moderna, il Regno Unito con AstraZeneca, la Germania con il partner BioNtech in Pfizer, la Francia con Sanofi che produrrà per Pfizer. E l’Italia?
Al momento non abbiamo carte da giocare, anche se una luce si intravede targata Reithera, azienda romana che a giugno 2021 finirà la sperimentazione per un vaccino italiano. Buona la notizia ma lunghi i tempi: non arriverà prima del 2022. Nel frattempo dipendiamo dagli altri.
Comunque sia, mentre l’Italia si consola per il diffuso ritorno delle regioni in fascia gialla, la Germania affronta i ritardi vaccinali prolungando fino al 15 febbraio lockdown e chiusura delle scuole e acquistando dosi della “cura di Trump”, quella con gli anticorpi monoclonali (circa 2mila euro a dose).
Solo il vaccino però evita di far ammalare le persone, risultando per questo il rimedio per eccellenza al Covid19: “I vaccini non sono un prodotto di largo consumo, per il quale si può rimandare la fruizione – parole di Arcuri -. Il vaccino non è una bibita o una merendina, è l’unico antidoto per uscire da una notte che dura un anno”.
E mentre i paesi ricchi lottano tra diritti acquisiti e priorità di consegna, i paesi poveri stanno a guardare disarmati. Per questo, sabato 30 gennaio, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha fatto una richiesta ardita e impopolare agli Stati membri: una volta inoculati operatori sanitari e vulnerabili, interrompere le vaccinazioni sul proprio territorio in modo da garantire “un equo accesso al vaccino a livello globale”. La portavoce, Margaret Harris, ha definito questa la cosa giusta da fare “moralmente ed economicamente”, dato che “gli 85 Paesi più poveri al mondo non raggiungeranno l’immunità di massa dal Covid19 fino almeno al 2024”. E finché gireranno persone non vaccinate, girerà pure il virus e in chissà quante altre varianti.
Le questioni sono tante e complicate, ma una cosa è chiara: questa pandemia è una grande messa alla prova. Non solo delle nostre risposte sanitarie, ma anche di quanto l’uomo – ogni uomo – conti rispetto alle economie.
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