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8 marzo: la forza delle donne. Iran: il commento circa le proteste

La forza delle donne iraniane sta nel coraggio della pubblica protesta contro un regime violento e repressivo fino alla morte. Lo ha dimostrato il caso di Masha Amini, picchiata fino al coma per una ciocca di capelli fuori dal velo (16 settembre 2022). Giuseppe Ragogna ne ha parlato con l’attivista iraniana Delshad Marsous

Parole chiave: Iran (12), Proteste (5), Donne (53)
8 marzo: la forza delle donne. Iran: il commento circa le proteste

La forza delle donne iraniane sta nel coraggio della pubblica protesta contro un regime violento e repressivo fino alla morte. Lo ha dimostrato il caso di Masha Amini, picchiata fino al coma per una ciocca di capelli fuori dal velo (16 settembre 2022). Una miccia che ha incendiato un fuoco mai spento, come ha spiegato l’attivista iraniana residente in Italia Delshad Marsous - un’artista che lavora nel campo della moda (nella foto a destra)- intervistata dal giornalista Giuseppe Ragogna a Radio Palazzo Carli, della diocesi di Vittorio Veneto, che gentilmente ci concede di riportare. Non è facile infatti trovare donne iraniane disposte a parlare, dato che fino a qui arrivano le minacce a chi si ribella o sostiene i manifestanti.
Come nasce questa straordinaria forza delle donne che lottano contro un regime oppressivo e violento? Quali i motivi della protesta?
Questa forza non è nata in un giorno. Basta guardare la storia dell’Iran degli ultimi cinquanta anni. Questa ondata di proteste è la risposta a 44 anni di regime degli ayatollah, 44 anni di sistematica oppressione delle donne. In realtà fin dal primo giorno il regime islamico [instauratosi nel 1979 con Khomeini ndr.] ha rubato la rivoluzione a cui avevano preso parte anche molti gruppi di donne. Le donne sono più di metà della popolazione e il regime che opprime le donne, opprime più di metà della popolazione. Il regime tiene in casa le donne ma le donne sono riuscite a mantenere la loro forza e a combattere il regime islamico, purtroppo senza riuscire a farsi sentire fuori dall’Iran. Possiamo proprio dire che la lotta non è nata oggi con la morte di Masha Amini: è nata 44 anni fa.
Lei è aggiornata: quale la situazione in Iran, quale il livello di repressione?
Se si vede il telegiornale sembra tutto finito, sembra che non ci sia più lotta, le persone non sono più nelle piazze. Non è vero: in realtà le persone lottano ogni giorno, ogni momento della loro vita. Se non per strada lottano nelle università, nei bazar… Ormai non si torna indietro: tutto è cambiato. Ci sono persone che hanno tolto i loro soldi dalle banche per indebolire il governo; le donne escono senza hijab per strada… Ci sono tanti aspetti da conoscere: la rivoluzione non sempre è in piazza. In questi modi possiamo dire che continua.
Può fare un bilancio di proteste e repressioni?
Possiamo dire che hanno arrestato e stuprato le donne. Possiamo dire di esecuzioni decise in pochi minuti senza avere dei motivi se non la protesta. Lo hanno fatto per 44 anni, ancor più in questi cinque mesi.
Leggo un titolo di giornale: "Si toglie il velo a scuola. Ragazza di 14 anni violentata e uccisa dagli uomini della sicurezza". Fino dove arriva il regime?
E’ molto cambiato. Oggi anche a scuola una ragazza di 17, 15 o 14 anni dimostra di non voler più sottostare al regime. Noi per 44 anni abbiamo vissuto sotto le regole del regime con grande paura. Ora possiamo dire che è caduto il muro della paura e il regime sta usando quello che faceva contro le persone con maggior forza per fare ancora più paura, calca la mano per far rientrare la gente a casa. Ma ormai non si torna indietro. Adesso è il regime che ha paura di non poter tornare al sistema di controllo di prima.
Dietro ogni episodio ci sono volti e storie. Anche voi attiviste avete compagni/e in Iran, vittime di violenza. Vuole ricordare qualcuno?
Una mia amica ha fatto cinque mesi di prigione e per i primi due non sapevamo dov’era. Ci sono tante storie così, come sceglierne una? Comunque, una che ha toccato particolarmente la mia sensibilità è quella di un ragazzo arrestato in una manifestazione e ucciso senza che avesse fatto altro, usato per fare paura alla gente. Lo hanno fatto sapendo che lui era solo, non aveva mamma, papà, familiari. Il regime islamico conosce e attacca i soli, i fragili, la minoranza. Abbiamo cercato di difenderlo, abbiamo parlato di lui: non è servito. Si vedeva che era innocente. Questo fatto ha portato un grave dolore alla popolazione che si è stretta per essere al suo funerale come una famiglia. Lo abbiamo sentito come un nostro fratello.
Quanto è importante che si muovano anche gli uomini a sostegno di questa lotta per la libertà?
In realtà il regime in 44 anni ha controllato gli uomini opprimendo le donne. Gli uomini ora hanno capito che ci sarà la libertà se appoggeranno l’uguaglianza delle donne.
Comunque, nei primi anni sembrava certo che gli uomini avessero più diritti: avevano il permesso di avere più mogli e per separarsi bastava che lo decidesse l’uomo. C’erano tante cose contro le donne che magari ad un uomo potevano dare felicità, sentiva di avere punti a favore. Poi in Iran molti hanno studiato, hanno capito che avere uguali diritti con le donne può portare alla democrazia, a stare tutti meglio. Adesso gli uomini appoggiano questo movimento.
Lo slogan è: Donna, vita, libertà. Ce lo spiega?
Sono tre parole unite. Il punto oscuro del regime islamico è proprio quello contro le donne. Abbiamo capito che dare il rispetto alle donne significa dare libertà e la libertà è vita, porta la vita.
Lei è convinta che in Iran cambierà davvero qualcosa?
Certo, lo posso dire al cento per cento. In questi 44 anni ci sono state lotte contro il governo ma non eravamo uniti: eravamo gruppi separati e sotto controllo. Finivamo in prigione, avvenivano esecuzioni. Ora abbiamo capito come muoverci per far avvenire il cambiamento e sicuramente cambierà. Nella nostra mente è già caduto il regime islamico.
Dall’Italia come sostenete la protesta?
Fin dalla morte di Amin abbiamo cominciato a fare manifestazioni, cortei, discorsi. La nostra attività è questa: essere voce dell’Iran fuori dall’Iran. Noi della diaspora iraniana abbiamo la responsabilità di dire cosa accade là.
Quali sono i rischi che correte da qui?
Abbiamo minacce dal primo giorno. Abbiamo ricevute telefonate e mail per farci paura. Abbiamo vissuto anni con questa paura, perché il regime islamico è per noi un regime terroristico e in questi 44 anni ci sono stati iraniani uccisi anche fuori dall’Iran. Ma le cose sono cambiate. Nel 2009 quando è nato il Movimento Verde [per la democrazia e il riformismo ndr.] scendevamo in piazza con mascherina e occhiali per non essere conosciuti. Adesso non ci pesa neanche la minaccia, non ci fermiamo.
Cosa potete fare di più incisivo a sostegno delle proteste in Iran?
E’ importante parlare, parlare, parlare di tutto quello che sta succedendo. Non far dimenticare. Non far pensare che sia durato un giorno o un mese. La notizia dell’Iran in protesta deve rimanere fino a che non riusciamo a rovesciare il governo.
Che cosa chiede all’Italia?
Di ascoltare la voce del popolo iraniano che ha ripetuto la sua richiesta: non riconoscete il regime della Repubblica islamica; interrompete i rapporti economici con la guardia del regime islamico pasdaran. Questo è molto importante, perché loro con questi soldi comprano le armi e sparano ai nostri giovani. E’ molto importante chiudere tutti i rapporti col regime islamico.
Che cosa rappresenta il velo per lei?
Quando ero in Iran mi costringevano a portarlo, ora no. Sono un’artista, non sento che vale per me. Ma ho un grande rispetto per le donne che lo scelgono. Secondo me conta che ogni persona sia libera di scegliere lo stile di vita, cosa vuole credere, cosa vuole fare. Anche in Iran: non credo sia importante che le donne portino il velo ma che chi porta il velo lo faccia perché crede e chi non crede possa avere la libertà di non portarlo. Per me, il velo che il regime ci costringeva a portare era solo un modo per farmi stare zitta, per spingermi indietro, non farmi ascoltare.
Da quanti anni lei è in Italia e perché ha lasciato il paese?
Sono in Italia da 12-13 anni. Ho lasciato l’Iran in un momento di debolezza. A tanti è capitato. Era il periodo del Movimento Verde, c’erano le elezioni ma non è stato tutto chiaro, ci siamo sentiti imbrogliati. Poi hanno cominciato a sparare alla gente, a torturare. Ho pensato che il cambiamento in cui speravamo non era possibile. Ho pensato che non riuscivo più a vivere così, che volevo respirare e pensare libera. Per questo io e mio marito abbiamo scelto di lasciare tutto quello che avevamo in Iran e siamo venuti in Italia.
Ha in programma di tornare in Iran, quando si metteranno a posto le cose?
Sì certo, subito. Ogni giorno con i nostri amici, tutti quelli che da qui combattono e lottano, immaginiamo quel giorno in cui noi tutti, in volo, insieme torniamo in Iran e andiamo in piazza Azadi [dove c’è la Torre Azadi o torre della libertà ndr] e lì balliamo e facciamo festa per la libertà e la vittoria.

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