La buona creanza
A scuola di buone maniere. Ciò che resta degli insegnamenti di mons. Della Casa
Il Galateo, ovvero il manuale della buona creanza, ha cinquecento anni. Lo ha scritto Mons. Giovanni Della Casa, ospite di una splendida villa veneta nel vicentino. L’autore dedica questo manuale del viver cortese a Galeazzo (Galateus, in latino) Fiorimonte, un nobiluomo che in seguito sarà uno dei quattro giudici al Concilio di Trento.
Il monsignore viveva nel mondo degli aristocratici e dei prelati ed è proprio a loro che si rivolge perché evitino ciò che non si addice ai nobili e ai "letterati" come essi sono e per questo è "villano e volgare".
Nello stesso periodo il Castiglione scrisse un’opera analoga intitolala "Il Corteggiano", le regole per chi viveva a corte e non tra la gente comune, illetterata e senza titoli nobiliari. Chi contava nella società di allora stava in alto.
Il Rinascimento è stata una stagione straordinaria per l’arte, la letteratura, l’architettura. Ci ha lasciato capolavori inimitabili in Italia e in Europa. Con il Principe di Machiavelli pure la politica divenne un’arte.
Col Della Casa iniziò la scuola del vivere cortese, di come mostrarsi veri signori, "gentleman", si dirà in seguito, nell’alta società. Il Galateo divenne regola nelle scuole di allora, per lo più in mano di religiosi e nei seminari post tridentini.
Il Galateo detta regole contro tutto ciò che è disdicevole al proprio rango, cioè che non si addice ai nobil uomini e alle nobil donne
Il manuale ha certo contribuito a tanti cambiamenti. Nei secoli successivi la gente non cade più nei comportamenti screanzati che l’autore dice essere frequenti al suo tempo: prendere il cibo con le mani, grattarsi qua e là, ruttare in modo rumoroso, dare la precedenza alle signore, non infilarsi il dito nel naso.
Come osserva Indro Montanelli: dopo cinquecento anni di Galateo gli italiani sono dei gran maleducati in livrea. Dal Castiglione e dal Della casa abbiamo imparato le buone maniere di corte, ci rivolgiamo agli altri chiamandoli egregio signore, gentile signora ma siamo incivili in automobile, nei dibattiti in tv, nei confronti dell’ambiente. Siamo dei gran villani in livrea.
L’allenatore di calcio che fa un gestaccio ai tifosi della squadra avversaria, i parlamentari di Montecitorio che si insultano a vicenda, lo studente spaparazzato in metropolitana che neppure si accorge del vecchietto che sta in piedi. "Ovunque ci giriamo", nota Natalia Aspesi nella prefazione de "L’arte delle buone maniere" (Il Mulino). "E’ che ci stiamo abituando. Usiamo molti riguardi ma non abbiamo rispetto degli altri. Ci teniamo a non passar per contadinotti grossolani ma siamo sempre più egoisti. I colleghi di lavoro, la gente del condominio non sono persone - figurarsi prossimo - ma dei gran rompi...".
Nel secolo XVI mons. Della Casa insegnava che la buona educazione consisteva nel non parlare a bocca piena e nel baciamano alle signore. Così facendo i nobili si distinguevano dai villani, cioè dai contadini.
Oggi la maleducazione è trasversale a tutte le classi sociali e più che di formalismi è una questione di civiltà. Lasciare in giro le immondizie, sgomitare per farsi largo davanti ad uno sportello sono segni di poco rispetto per gli altri, come lo sono tenere la tv a pieno volume mentre i vicini dormono o parcheggiare male creando problemi ad altri automobilisti.
Di tutto questo parla lo psicoterapeuta Fulvio Scapparo nel libro "L’antispocchia. Come ho imparato a difendermi dagli arroganti" (Bompiani) e detta tre semplici regole per vivere bene con gli altri: 1- Pensare agli altri, vedere le cose dal loro punto di vita. 2 - Fare ciò che si deve: occupare il posto che ci compete senza strafare e prevaricare. 3 .Non essere prepotente con chi dipende da te e non adulare chi è sopra di te.
L’autore si chiede pure se la maleducazione per un cristiano sia peccato da dire in confessione o un vizio da cui convertirci. Dipende da ciò che intendiamo per buona educazione, se consiste in alcune regole per non fare la parte del cafone, non di certo, se invece si intende il rispetto, o meglio l’amore che secondo il Vangelo dobbiamo a tutti, compreso chi ci vuol male, c’entra, eccome, con la morale cristiana. Nella vita di molti santi si ricorda come fossero persone umili, fraterne e affabili. Ne parla splendidamente un contemporaneo di mons. Della Casa, San Francesco di Sales nel suo splendido epistolario.
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