Il galateo non un libro polveroso
Tutti litigano: a scuola, al campo, in tv, sui social, in politica. La dimensione del noi è sempre più difficile. Mentre ciascuno è attento al proprio ego.
Era già successo ai bordi dei campi di calcio come a quelli delle piscine. In questi giorni la medesima protesta si è alzata dalle piste di sci: no ai genitori durante le gare dei figli. Pulcini che agli occhi di madri e padri appaiono geni incompresi a un passo dal podio e che per questo vengono difesi con toni anche triviali e grevi, dando non solo un pessimo esempio di mancata educazione e linguaggio scurrile ma anche di assenza di spirito sportivo e di obiettività circa il merito della progenie. Simili episodi di mala educazione adulta si sono manifestati pure nelle scuole con genitori contro insegnanti.
Le questioni in ballo sono duplici: da una parte il mancato rispetto dei ruoli tra adulti, dall’altro la diffusa abitudine all’insulto facile, che trasborda oltre l’ambito educativo e sportivo e si ritrova in più occasioni, animando episodi di vita comune come fior fiore di cronache, di spettacoli televisivi e radiofonici, di intere pagine sui social, gogne comode e codarde.
Un nonno ha raccontato di aver smesso di seguire le partite del nipote adolescente perché a bordo campo si respirava troppa tensione: madri e padri urlanti un continuo salmodiare di insulti all’arbitro, ai compagni di squadra, all’allenatore. E poi genitori contro genitori per come aveva giocato il figlio di questo o di quello. Il nonno si sentiva lui in imbarazzo di fronte a quella indiavolata sarabanda che gli provocava la tachicardia.
In maniera più pubblica, ma animato dalla stessa misura colma, il maestro di sci Andrea Schenal ha postato su facebook il suo sfogo: i genitori dei bambini che allena sono "arroganti, apprensivi, alla ricerca di risultati immediati per i loro figli più che dei valori dello sport".
Senza aver niente da insegnare a nessuno, non si può non rilevare che questa sia una tendenza diffusa. Non siamo forse nell’epoca delle trasmissioni tafferuglio? Dell’uno contro tutti se non del tutti contro tutti? Del litigio facile per strada come al bar? Quante volte la cronaca ha raccontato di alterchi sfociati in tragedia?
Ebbene, Il Galateo non è solo un libro secolare e polveroso e non si limita a un codice di norme da seguire al ristorante per non sfigurare. C’è un galateo dell’anima ben più profondo, che ci fa uomini attenti agli uomini, che ci fa solidali e non egoisti, che ci insegna ad avere cura di noi come degli altri. Che, suggerendoci come fare, al contempo ci fa, ci costruisce, ci forgia. Non per avere un comportamento migliore: per essere migliori.
Guardare solo a noi stessi è uno strabismo egoista, una cecità sulla dimensione plurale della vita, che oggi pare davvero sbiadita. L’ego sembra prevalere sul noi, il singolo sulla comunità. Col risultato che è sempre più difficile stare insieme: sui banchi, al campetto, al lavoro, in politica, in coppia.
Vale anche per i genitori. Non si educa qualcuno tenendolo davanti allo specchio, come se il suo io fosse prevalente rispetto ai sogni e bisogni del mondo. Lo insegnava bene una favola demodé, Biancaneve, dove il male era impersonato da una Regina che passava le ore ad interrogare lo specchio sul primato della sua bellezza e il bene dall’algida fanciulla che aiutava, facendosi amare, i nani.
Viviamo in società, a stretto contatto con gli altri, immersi nella pluralità di idee, di modi di essere, di fare. Vivere è stare, lavorare, scegliere insieme. Non primeggiare e imporre. Conviene impararlo fin da piccoli, lasciando che le sfide si facciano palestre anche di questa dimensione.
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