Domenica 26 maggio, commento di don Renato De Zan
2Nle nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo": è la festa della Santissima Trinità
26.05.2024 - Ss Trinità
Mt 28,16-20
In quel tempo, 16 gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 17 Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18 Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19 Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20 insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
“Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”
Il Testo
1. Il testo di Mt 28,16-20 è legato, per il criterio di contemporaneità, all’episodio della corruzione delle guardie (Mt 28,11-15). L’autore sacro ottiene questo caso strano di contemporaneità con l’avverbio “intanto” (v. 16). Mentre le autorità ebraiche proditoriamente mentivano e corrompevano, Gesù inviava i suoi nella missione universale di annuncio e attuazione della salvezza. La Liturgia toglie questo aspetto di contemporaneità tagliando l’avverbio “intanto” e aggiungendo il semplice incipit “in quel tempo”.
2. Il testo si divide a livello narrativo in due parti: una narrativa (Mt 28,16-18a) e la seconda discorsiva (Mt 28,18b-20). La strutturazione del brano ha una fisionomia leggermente diversa. La struttura è impostata sulle due parti evidenziate, ma all’interno c’è una costruzione strutturale tripartita. Il primo elemento è dato dal verbo di movimento “andare”: c. 16a: andarono // v. 19a: Andate. Il secondo elemento è costituito dalla destinazione: nel v. 16a la destinazione è la “Galilea” // nel v. 19b la destinazione sono “tutti i popoli”. Il terzo elemento è costituito dalle disposizioni di Gesù: nel v. 16b c’è l’espressione “che aveva loro indicato” // nel v. 19b c’è l’espressione “fate discepoli…, battezzando…, insegnando….tutto ciò che vi ho comandato”. Al centro si trovano i due versetti, Mt 28,27-18.
L’Esegesi
1. Il cuore del brano è equamente suddiviso tra l’atteggiamento dei discepoli (“si prostrarono. Essi però dubitarono”) e la manifestazione del potere assoluto di Gesù (“A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”).
Con due verbi Matteo dipinge il mistero della fede: l’adorazione e il dubbio. Il dubbio di fede non è nemico della fede purché spinga alla ricerca, all’approfondimento e al consolidamento della fede stessa.
Per questo Gesù affida ai suoi discepoli la missione.
Gesù manifesta che il suo potere assoluto sulla storia, sulla natura e sugli uomini è senza limiti. Non è una proclamazione di “superpotenza”, ma è una dichiarazione di “libertà”. Con la sua morte e la sua resurrezione è stato completamente distrutto il potere di Satana. Gesù lo aveva annunciato nell’ultima cena: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Gv 12,31).
2. Nella pagine della Scrittura non c’è la parola “Trinità”. Il termine viene coniato per la prima volta da Teofilo di Antiochia alla fine del sec. II d.C. e non significa “trimurti” (induismo), ma semplicemente l’Unità di Tre (Tre-Unità). La Scrittura parla del Padre, del Figlio e dello Spirito. Non ne parla solo in Mt 28,18 (“battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”), ma anche - per esempio - in 2Cor 13,13 (“La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.”). è perciò completamente falso ciò che alcuni, che si proclamano testimoni di Dio, affermano, non si sa se per ignoranza o per consapevolezza malevola: “I primi cristiani, che furono ammaestrati da Gesù, non credettero…che Dio sia una Trinità” perché la dottrina della Trinità “deve risalire a circa 350 anni dopo la morte di Gesù Cristo”.
3. Non basta il Battesimo. I discepoli devono insegnare ad osservare ciò che Gesù ha comandato. Ciò spiega perché gli Apostoli, nella primitiva comunità cristiana, ponessero al primo posto l’istruzione della comunità: “Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere” (At 2,42). L’insegnamento ritornerà anche in Paolo lì dove parla della fedeltà ai carismi: “Chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all'insegnamento” (Rm 12,7). L’insegnamento si ripresenterà con forza nelle lettere pastorali. Paolo dice a Timoteo: “In attesa del mio arrivo, dèdicati alla lettura, all'esortazione e all'insegnamento….. Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano” (1 Tm 4,13.16).
Il Contesto Liturgico
1. La mente umana non può definire il mistero di Dio perché “essendo la nostra conoscenza di Dio limitata, lo è anche il nostro linguaggio su Dio” (Catechismo della Chiesa Cattolica = CCC 40): “Le parole umane restano sempre al di qua del Mistero di Dio” (CCC 42). S. Tommaso d’Aquino suggerirebbe addirittura il silenzio: “Dio si onora con il silenzio non perché non si parli affatto o non si indaghi per niente su di lui, ma perché prendiamo coscienza che rimaniamo sempre al di qua di una sua comprensione adeguata”. Per questo motivo la preghiera liturgica tenta un avvicinamento al mistero, senza tuttavia aver la pretesa di svelarlo: “Con il Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza” (embolismo del prefazio).
2. Di fronte a Dio, dunque, gli atteggiamenti corretti possono essere diversi. Due in particolare sono importanti: l’umiltà e la contemplazione. L’umiltà è un atteggiamento necessario che ci pone di fronte al Mistero di Dio con la consapevolezza che Egli è sempre e comunque oltre i nostri pensieri. La contemplazione è l’altro atteggiamento necessario per vedere dove e come nella storia personale, in quella della comunità e del mondo Dio, Padre e Figlio e Spirito, agisca.
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