Commento al Vangelo
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Domenica 24 novembre, commento di don Renato De Zan

Io sono re per dare testimonianza alla verità

Domenica 24 novembre, commento di don Renato De Zan

24.11.2024 - Xsto Re

 

Gv 18,33-37

In quel tempo, 33 Pilato disse a Gesù : «Sei tu il re dei Giudei?». 34 Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35 Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36 Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37 Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

 

Io sono re per dare testimonianza alla verità

 

Il Testo

 

1. Giovanni presenta il processo di Gesù davanti a Pilato, narrandolo in sette scene, disposte in modo concentrico. La prima scena (i Giudei chiedono la morte di Gesù) è legata alla settima (i Giudei ottengono la morte di Gesù). La seconda (dialogo sulla regalità di Gesù) corrisponde alla sesta (dialogo sul potere), la terza (Barabba preferito a Gesù innocente), alla quinta (Gesù innocente è presentato come l’Uomo) e, al centro, la quarta scena (la flagellazione). Per il vangelo di oggi la Liturgia ha scelto la seconda scena, Gv 18,33-38a, sopprimendo Gv 18,38a (“Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?»”).

 

2. La pericope originale inizia con queste parole: “Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?»” (Gv 18,33). Pilato, sebbene condizionato dal dialogo con i Giudei, ha intenzione di capire la persona e l’operato di questo individuo che gli è stato consegnato dalle autorità religiose ebraiche (Gv 18,28-32). La Liturgia toglie questa dicitura e la sostituisce con quest’altra: “In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?»”. In questo modo, purtroppo, scompare l’interesse di Pilato per Gesù e la sua indipendenza da quanto i Giudei gli avevano riferito su di lui.

 

3. La struttura della formula liturgica è caratterizzata dalle domande di Pilato e dalle risposte di Gesù ed è cadenzata in tre momenti: in Gv 18,33-34 “Pilato disse” e “Gesù rispose”; in Gv 18,35-36 “Pilato disse” e “Rispose Gesù”; infine, in Gv 18,37 “Pilato disse” e “Rispose Gesù”. Mentre il secondo momento è caratterizzato da una risposta di Gesù impostata su una struttura concentrica, data dalla ripetizione dell’espressione “il mio regno” (a. “I mio regno non è di questo mondo” / b. “Se il mio regno fosse di questo mondo” / a’. “Ma il mio regno non è di quaggiù”), il terzo momento è quello teologicamente più ricco (“Io sono re”; “Rendere testimonianza alla verità”).

 

L’Esegesi

 

1. Che Gesù sia re, non è un’invenzione cristiana. Gesù stesso lo afferma davanti a Pilato (“Tu lo dici: io sono re”). Una affermazione del genere è un po’ difficile da accogliere da parte di uno che disse: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Eppure Gesù è re, ma non alla maniera umana. Nel cartiglio trilingue, irriverente e derisorio, posto sulla croce di Gesù, era scritto: “Costui è il re dei Giudei” (Lc 23,38). E’ chiaro che un uomo crocifisso, morente e vinto, non è un re alla maniera umana. Il suo regno, infatti, “non è di questo mondo”, “non è di quaggiù”. Il suo regno, però è dentro la storia. S. Agostino diceva: “Egli non dice: «Il mio regno non è qui», ma: «Non è di qui»”.

 

2. Ai farisei che gli chiedevano quando sarebbe venuto il regno di Dio, Gesù rispose: “Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 17,20-21). Il regno di Dio, cioè la signoria di Dio, in Gesù è stata perfetta e totale, tanto che si può benissimo dire che il regno di Dio è Gesù stesso. Il discepolo di Gesù, che è una cosa sola con lui (cf Rm 6,5), nella misura in cui imita il maestro, costituisce la ulteriore testimonianza storica che la signoria di Dio (il regno di Dio) è già presente in questo mondo.

 

3. Questo modo di guardare alla signoria di Dio (al regno di Dio) aiuta a comprendere meglio quale sia il compito di Gesù re: “Sono venuto nel mondo per dare testimonianza alla verità”. Sulla parola greca “alètheia” si può discutere molto. Il tema, però, senza pretesa di completezza, si può riassumere così. La verità è Gesù (Gv 14,6a: “Io sono la via, la verità e la vita”). Non si tratta della “verità” filosofica, ma di qualche cosa di più prezioso a livello biblico. Il vocabolo greco “alètheia” ha alle sue spalle il vocabolo ebraico “’èmet”, che fondamentalmente esprime “la fedeltà amorevole di Dio”. Gesù è la pienezza della fedeltà amorevole di Dio verso gli uomini. Egli, nelle sue parole e nelle sue azioni, Mistero Pasquale compreso, rende testimonianza di tale fedeltà. La conseguenza è chiara: “Chiunque è dalla verità (chi ha fatto esperienza della fedeltà amorosa di Dio), ascolta la mia voce”. È bene ricordare che il tema della “alètheia” nel N.T. è molto più complesso e articolato di queste poche parole.

 

Il Contesto Liturgico

 

1. Con l’enciclica Quas Primas (11 dicembre 1925) Pio XI istituiva la festa di Cristo Re. La celebrazione si collocava nell’ultima domenica di ottobre, prima della festa di tutti i Santi. La riforma liturgica del Concilio ha, invece, spostato la solennità all’ultima domenica dell’anno liturgico per evidenziare il carattere universale ed escatologico della regalità di Gesù. La regalità di Gesù, infatti, è aperta e accogliente, tanto da abbracciare qualunque uomo. Il regno, infatti, è universale (cf la prima lettura, Dn 7,13-14) e comprende anche coloro che lo trafissero (seconda lettura, Ap 1,5-8).

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