Domenica 2 luglio, commento di don Renato De Zan
Prima Dio, poi i propri cari
Mt 10,37-42
In quel tempo disse Gesù ai suoi apostoli: 37 Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38 chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. 40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41 Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa»
Prima Dio, poi i propri cari
Il Testo
1. La formula evangelica di Mt 10,37-42 è costituita dalla pericope finale del discorso apostolico di Gesù (Mt 10,1-42). Il vangelo di Matteo dice che Gesù fece questo discorso ai suoi apostoli, prima di inviarli in missione. La Liturgia, ponendo all’inizio del brano l’espressione “In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli”, chiarisce all’uditore ci sia il mittente e chi il destinatario.
2. Il testo della formula è caratterizzato da nove preposizioni che incominciano con il pronome “chi” e che sono formulate secondo il criterio delle leggi participiali veterotestamentarie: prima si presenta il caso e poi la soluzione. Troviamo una prima pericope (Mt 10,37-39), dove è ripetuta per tre volte l’espressione “non è degno di me”, e che è conclusa dal detto di Mt 10,39. Questo detto di Gesù riguarda il possesso egoistico della vita oppure il suo dono e chiude l’insegnamento che riguarda la priorità di Gesù sui propri affetti e sulla propria vita. Una seconda pericope (Mt 10,40-42) è introdotta da Mt 10,40 (con il tema dell’accoglienza degli inviati da Gesù) ed è caratterizzata nei versetti successivi dal triplice tema della ricompensa (Mt 10,41-42).
L’Esegesi
1. La didaché della Chiesa nascente si fondava su una dinamica semplice. Il cristiano poneva all’apostolo delle domande che nascevano dalle necessità della vita quotidiana e l’apostolo rispondeva rifacendosi a fatti o “loghia” di Gesù; fatti e “loghia” compiuti ed espressi dal Maestro in circostanze diverse. Mt 10,37-42 ha questa origine. Si trattava di rispondere a quattro domande di fondo. La prima potrebbe essere così riassunta: quale può essere l’amore più grande, quello verso i propri cari o verso il Maestro? La seconda: è necessario restare soli e non compresi dagli altri perché si è cristiani? Nella vita, poi, vale la pena seguire i propri interessi a prescindere dai valori morali o vale la pena realizzare la propria vita, seguendo i valori morali? Il pagano che aiuta il cristiano, soprattutto in momenti di persecuzione, che ricompensa ha?
2. Nella risposta alla prima domanda non ci sono mezze misure: prima Dio, poi i propri cari. Circa la seconda domanda, Matteo ricorda un’espressione di Gesù molto forte: se non sei capace di restare solo, messo da parte, incompreso (= prendere la croce e seguilo) per le tue scelte cristiane, non puoi essere discepolo del Signore. Per la terza domanda la risposta è chiara: chi “umanamente” sembra aver realizzato la sua vita, facendo il “furbo” (non interessa se con la menzogna e l’imbroglio), la perderà sotto il profilo spirituale. Chi sotto il profilo umano sembra aver buttato via la sua vita (perché umanamente non è “furbo” in quanto ha osservato la verità, la giustizia, l’amore, la compassione, la generosità, ecc.), sotto il profilo divino, invece, l’ha totalmente guadagnata.
3. Infine la risposta alla terza domanda è consolante: il “premio” che ne deriva dall’accoglienza è stabilito da Gesù, non dall’uomo. Accogliere il profeta e il giusto (il massimo della santità) significava al tempo di Gesù essere meritevoli davanti a Dio. Gesù associa al profeta e al giusto anche il proprio discepolo. Chi fa anche un dono minimo di bene (un bicchiere di acqua fresca) a un discepolo di Cristo si rende meritevole come colui che accoglie un profeta e un giusto.
Il Contesto Liturgico
1. In 2 Re 8-11.14-16a (prima lettura), la donna di Sunem accoglie Eliseo, uomo di Dio. La donna viene ripagata con la maternità. È l’anticipo profetico della parole di Gesù: coloro che accolgono il discepolo di Gesù hanno la ricompensa del discepolo, del profeta e del giusto. Dio, infatti, è generoso nel restituire ciò che si dona a Lui (Sir 35,12-13: “Da’ all’Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto”).
2. Nella seconda complementare della Colletta generale troviamo l’espressione “restiamo sempre luminosi nello splendore della verità”. È un modo riassuntivo di presentare quanto Gesù ha illustrato nel vangelo per essere discepoli del Signore. La Colletta propria, invece, sottolinea con molta forza la sequela di Cristo sulla via della croce (che è solo una parte del vangelo). La sequela comporta il dono della vita per manifestare la presenza divina dell’amore nel mondo. È un modo incisivo per dire cosa significhi “perdere la propria vita (umanamente)” per “guadagnarla spiritualmente”.
3. Per un approfondimento: Fabris R., Matteo, Commenti biblici, Borla, 1982, 246-247; Gnilka J., Il vangelo di Matteo. Parte prima, Commentario teologico del N. T., Paideia, Brescia 1990, 573-588; Grasso S., Il vangelo di Matteo, Collana Biblica, Ed. Dehoniane, Roma 1995, 285-287; Luz U., Matteo 2, Commentario Paideia . Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2010, 176-200.
Non sei abilitato all'invio del commento.
Effettua il Login per poter inviare un commento