Comunità Oasi 2, un’opportunità per riprendersi la vita
Per gli ospiti avviato un progetto di recupero che punta sulla coltivazione dello zafferano
E' il tempo dello zafferano, il cui fiore violaceo è pregiato per gli stimmi di colore rosso scarlatto, che sono molto ricercati in cucina. Ne è un esempio il risotto alla milanese, ma l’utilizzo è diffuso anche per altre ricette. In Friuli, da una decina d’anni, c’è una buona produzione avviata a San Quirino, Dardago e in vari luoghi della pedemontana. In questo periodo, il lavoro comincia nei campi alla mattina presto con la raccolta dei fiori, poi continua in locali arieggiati, con il prelievo degli stimmi che vengono accuratamente essiccati. Tutte le operazioni sono eseguite rigorosamente a mano, con pazienza, delicatezza e tanta passione. L’estrazione di quei filamenti sottili dà sostanza a tutta l’attività, perché elevano il valore di mercato del prodotto. Non a caso si parla di "oro rosso" che supera una quotazione di 20 euro al grammo. Dietro però c’è un duro lavoro.
Quest’anno è stato avviato un progetto sperimentale anche a Cordenons, nella struttura dell’Oasi 2 che si caratterizza come una casa di accoglienza per persone in uscita dal carcere. Attualmente ci sono sei ospiti che hanno accettato un patto di convivenza con il rispetto di regole essenziali di comportamento. L’abitazione è immersa nella campagne, con disponibilità di un campo adatto a varie coltivazioni stagionali: dai pomodori ai peperoncini, dall’insalata alle verze. A metà settembre sono stati piantati i bulbi di zafferano, che hanno dato risultati soddisfacenti. Gli abbondanti germogli hanno premiato il lavoro. Il terreno è adatto. E ora la raccolta di tanti fiori è la prova finale del buon esito dell’operazione. L’idea offre così buone prospettive anche per l’avvenire.
Il progetto non ha soltanto un valore economico, ma anche sociale, perché lo zafferano coltivato in quel luogo è un fiore più delicato di tanti altri: ha il profumo di speranza e un sapore particolare, che sa di futuro. L’Oasi 2, gestita dai volontari dell’associazione Carcere e Comunità, sotto la guida di don Piergiorgio Rigolo, permette un periodo di sosta a chi non ha né casa, né affetti, né lavoro. È un posto dove trovare risposte concrete alle domande di ripartenza nella società, con coraggio e fiducia. Chi esce da un penitenziario non può trovarsi davanti a muri invalicabili, porte chiuse, etichette permanenti che lo escludono per sempre dalla comunità. Deve avere le opportunità di poter riprendersi la vita. Ma non è una prova né semplice né scontata in una società troppo condizionata dai luoghi comuni del "buttare la chiave e lasciarli marcire in galera", in nome di una sicurezza schiacciata tremendamente sulla repressione. La nostra Costituzione è stata scritta con obiettivi diversi: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". La realtà è invece diversa, perché segue spesso altre direzioni in "luoghi a perdere". Queste situazioni precarie non fanno altro che aumentare le percentuali di recidiva, troppo alte in Italia. I risultati di inclusione sociale si ottengono quando le persone sono coinvolte (e sollecitate) in attività culturali, formative e occupazionali. Il buon senso aiuterebbe a rendere le carceri meno affollate. Lo ha ripetuto recentemente il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, con parole efficaci di civiltà e di umanità: "La detenzione non sia segno di emarginazione, accantonamento e preclusione. È soltanto una cicatrice che nel corso del tempo scompare, non è un marchio a vita". Il carcerato non può essere valutato per il suo reato: è una persona che merita rispetto. Anche un fiore può aiutare la rinascita di una nuova vita.
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