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La drammatica condizione delle donne in Afghanistan

La testimonianza di Maryam Rawi che si batte per i diritti umani e l’emancipazione femminile

La drammatica condizione delle donne in Afghanistan

Nei giorni scorsi, a Pordenone, l’attivista Maryam Rawi ha proposto una testimonianza sulla situazione sociale in Afghanistan. È una delle responsabili dell’organizzazione RAWA, che da circa 40 anni si batte per il rispetto dei diritti umani e per l’emancipazione femminile in Afghanistan. Ha esordito Rawi: "Faccio riferimento alla mia vita per raccontarvi quella di moltissime donne del mio Paese. Sono praticamente nata durante l’invasione sovietica, ho subito immediatamente dopo la prima repressione talebana, ho dovuto misurarmi con l’occupazione statunitense, ora devo fare i conti di nuovo con il regime talebano. Sono rimasta orfana di padre a 3 anni: morto in guerra. Con mia madre vedova, sono stata costretta a vivere per molti anni in un campo profughi in Pakistan. Se penso all’esistenza di mia nonna, devo ammettere con amarezza che, anche se era povera, ha vissuto molto più serenamente di me".
L’attivista ha delineato un quadro drammatico: dopo il 15 agosto 2021 l’Afghanistan è piombato in un incubo. La povertà dilaga (il 9% della popolazione non ha accesso al cibo). Le donne sono private dei diritti fondamentali: non possono lavorare fuori casa, non possono uscire dalle loro abitazioni e spostarsi da un luogo ad un altro se non accompagnate da un uomo, devono vestire di nero e indossare il hijab integrale che lascia scoperti solo gli occhi, le ragazze non possono accedere all’istruzione. La popolazione vive sotto l’incubo di infrangere la legge islamica, il che vuol dire essere condannati alla fustigazione, all’amputazione delle mani, alle lapidazioni, tutte pratiche che i talebani eseguono in pubblico, dicono a scopo rieducativo. Denuncia Rawi: "Ci troviamo in questa situazione perché gli Stati Uniti e l’Occidente ci hanno prima invaso e poi improvvisamente abbandonato. Ci hanno consegnato nelle mani dei talebani. E ora qualcuno afferma che è necessario riconoscere questo governo, lavorare per un compromesso. Noi di RAWA su questo abbiamo una posizione radicale: non è possibile trattare con chi non rispetta i fondamentali diritti umani".
Ha aggiunto Maryam Rawi: "Ma non sono qui a Pordenone solo per raccontarvi gli aspetti negativi dell’Afghanistan, ma anche per parlarvi dei progetti della mia organizzazione. Noi facciamo in primo luogo un lavoro politico: denunciamo la situazione con testimonianze come la mia, ma cerchiamo di dialogare con i cittadini, specialmente con quelli più emarginati, per far comprendere loro che è possibile un futuro di pace e di libertà. Poi abbiamo avviato una serie di progetti con le donne: concediamo loro micro prestiti, affinché possano coltivare lo zafferano, allevare delle capre, gestire dei laboratori artigianali per la confezione del sapone. Molte di loro sono vedove e quindi povere ed emarginate. Con i loro piccoli guadagni possono mantenere i figli, mandarli a scuola, assicurare loro i medicinali in caso di malattia". L’associazione RAWA ha poi organizzato decine di classi segrete: aule frequentate da bambine, altrimenti escluse dal diritto all’istruzione, dove imparano a leggere e scrivere, guidate clandestinamente da maestre che svolgono il loro mestiere a rischio della vita.
Ha concluso Rawi: "Io sono fiduciosa. Le donne dell’Afghanistan, il popolo dell’Afghanistan sapranno rialzarsi in piedi e recuperare la loro dignità. A voi chiedo di prendere consapevolezza della nostra situazione, perché ho l’impressione che altri drammatici teatri internazionali hanno fagocitato l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale. Vi chiedo di non dimenticarvi dell’Afghanistan".

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