L'Editoriale
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Uno su due e non ce ne preoccupiamo

Le prove Invalsi 2023 hanno coinvolto 12 mila scuole statali e paritarie, testando 2 milioni e 700mila studenti. Hanno restituito una fotografia impietosa: la metà degli alunni non comprende quello che legge.

Parole chiave: Invalsi (2), Studenti (11), Scuola (123)
Uno su due e non ce ne preoccupiamo

Uno su due

e non ce ne

preoccupiamo

Simonetta Venturin

Uno su due e saperlo non ci tocca. I risultati delle prove Invalsi 2023, riprese dopo la pandemia, sono impietosi: questo l’aggettivo ricorrente nelle cronache e nei commenti. Forse quello giusto è però ‘drammatico’: sia per i risultati che per le poche reazioni a quanto emerso. Ridotta all’osso la situazione è questa: un ragazzo su due (50,7%) non comprende quello che legge. E il mondo – sottolineiamo noi - non sembra interrogarsi a riguardo, né preoccuparsene, né al momento ipotizzare strategie per cambiare rotta. Colpa dell’estate e delle ferie? Ma ma se quella percentuale indicasse l’incidenza di una malattia, o anche solo la possibilità di contrarla, non si sarebbe corsi subito ai ripari?

C’è davvero da chiedersi cosa sia la scuola oggi e quanto sia tenuta in considerazione. Per certo è sfumato il valore che aveva per le passate generazioni: il riscatto da una bassa condizione sociale o il suo miglioramento; la possibilità di andare all’università - che per i più meritevoli lo stato sosteneva e sostiene -; la soddisfazione di un bel voto per sé e per i genitori che mantenevano agli studi; la conditio sine qua non di ogni sogno, dal più piccolo (il motorino) al più grande (fare l’astronauta). Era il dovere dei piccoli, come il lavoro era quello degli adulti: per tutti erano banditi mal di pancia che giustificassero assenze.

Oggi la scuola non è più percepita come ascensore sociale, ma quel che addolora è vedere sbiadire anche dall’immaginario collettivo il suo valore formativo, la certezza che il suo avvio al mondo del sapere e della conoscenza sappia far fiorire teste, idee e talenti.

Il buon Lubrano a questo punto avrebbe detto che la domanda sorge spontanea: cosa le ruba la scena? Se ieri si stava sui libri oggi si sta molto sui social. Quanto pesa dunque su questa fotografia di insuccesso la pressoché costante immersione di tutti, giovani e giovanissimi compresi, nel mondo virtuale? Quel mondo vivissimo che tengono in mano e che passa dallo smartphone?

Le prove Invalsi 2023 hanno coinvolto 12 mila scuole statali e paritarie, testando 2 milioni e 700mila studenti. Hanno restituito la fotografia anticipata: la metà degli alunni non comprende quello che legge. Nel 2019 se ne videro le avvisaglie – per restare al dato relativo alla comprensione del testo – ovvero un ragazzo su tre aveva problemi, ma è nel post covid che si arriva all’uno su due. La pandemia in sé, che pure ha fatto guai nel sistema relazionale di tutti e ancor più in quello dei giovani, non può diventare il capro espiatorio di un complesso sistema di non adeguate attenzioni perché da capro espiatorio ad alibi il passo è breve.

I ragazzi navigano quasi ininterrottamente, tanto che per essi il mondo è tutto ciò che passa dallo schermo (messaggiarsi da camera a cucina ne è un pratico esempio). Non per fare gli antiquati e gli antipatici ma per capire, viene da chiedersi quanto incida questo vivere in perenne connessione, il che significa pure in costante distrazione. Gli occhi abituati ad inseguire vortici di immagini, stimolati da colori e cambi di scena, da musiche e audio, come impattano col silenzio di pagine scritte, con le loro parole immobili sul mare bianco della carta da popolare a colpi di fantasia?

C’è inoltre il fattore tempo: abituati a fissare lo smartphone a intervalli rapidi e regolari per non perdere l’ultima notifica, si saltella di continuo dal libro allo schermo. Con quali esiti lo dicono vari studi, i quali confermano come le continue distrazioni da cellulare vanno a ricablare il nostro cervello rendendoci alla lunga imbambolati; l’uso dello smartphone nelle pause – lavorative o di studio che siano –, togliendo i pochi minuti di stacco necessario ai pensieri, impedisce al cervello di ricaricarsi, rendendo difficile ripristinare davvero l’attenzione su quanto si stava facendo.

Altre indagini sottolineano come gli adolescenti che usano molto lo smartphone e altri apparecchi multimediali corrono un rischio doppio, rispetto ai coetanei che li adoperano meno, di sviluppare disturbi comportamentali, manifestando iperattività e deficit di attenzione (ADHD), problema questo che ricade sul rendimento scolastico, impedendo di portare a termine i compiti assegnati, seguire una lezione, concentrarsi.

L’allarme viene anche dagli Usa dove il General Surgeon - la figura più autorevole nella sanità pubblica -, ha chiesto una collaborazione tra scuole e famiglie al fine di porre un argine al declino della salute mentale dei giovani che, nel suo rapporto, “trova un serio fattore di rischio nella frequentazione dei social media”. Lo stesso afferma che i social rappresentano “un pericolo significativo di danno per la salute dei soggetti in età evolutiva” e che questi media non sono un ambiente sicuro per la salute dei minorenni. In più, i bambini e gli adolescenti che passano più di tre ore al giorno sui social affrontano un rischio doppio di sviluppare problemi di salute mentale, inclusi ansia e depressione.

Massimo Santinello, docente di psicologia dell’università di Padova, sulla rivista on line “Il Bo Live” ha confermato che la durata dell’attenzione nei ragazzi è sempre più ridotta: “Questo richiede un cambio di rotta anche nella scuola e rende necessaria una didattica differente da quella tradizionale, più ‘rapida’ e che dia continuamente stimoli nuovi”. Ora, se deve cambiare l’intensità d’uso del cellulare o se si deve cambiare la scuola è decisione da esperti, quel che è evidente è che le cose così come sono oggi non funzionano e non si sa immaginare come saranno domani.

I dati Invalsi 2023 hanno pure scardinato il fiore all’occhiello del sistema educativo italiano, riconosciuto nella scuola Primaria: per la prima volta anche da lì sono venuti risultati deludenti. Nell’insieme delle scuole testate, le prove hanno rivelato difficoltà crescenti in Italiano e matematica, disegnando al contempo uno stivale molto diseguale quanto a competenze acquisite con un Nord con risultati migliori e un Sud che dai banchi di scuola manifesta tutto il suo disagio.

Volendo cercare una luce, la si trova nel netto miglioramento della conoscenza dell’inglese. Il che non guasta, anzi apre prospettive nuove per un popolo come quello italiano, considerato refrattario alla lingua di Shakespeare. Ma quel che non ha saputo fare l’antico William hanno evidentemente potuto le recenti star del pop. E - speriamo - pure le lezioni in lingua che, per qualcuno, iniziano fin dalla scuola dell’Infanzia.

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