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A porte chiuse ci spalanca la vita

Il Risorto venne a porte chiuse nel cenacolo. Due volte: senza e con Tommaso. Sono un cenacolo chiuso anche le nostre case. 

Parole chiave: Maurizio Girolami (1), Pasqua (35), Risorto (9)
A porte chiuse ci spalanca la vita

ivere la Pasqua in tempo di contagio, obbligati moralmente e civilmente a restare nelle nostre case, ci permette di cogliere un elemento curioso del vangelo proclamato in questo giorno. Può apparire un semplice dettaglio, ma che ha in sé un significato profondo e attuale anche per noi.
Solo il Quarto evangelista ricorda che i primi luoghi della sua manifestazione, a Gerusalemme, sono due: alla tomba vuota e presso il cenacolo, dove sono riuniti i discepoli di Gesù rinchiusi per paura dei giudei. Sentendosi minacciati, essi cercano riparo.
La nostra paura oggi non sono nemici fisici, ma invisibili virus che ci tolgono fiato e vita.
In quel cenacolo Gesù appare due volte a distanza di otto giorni: la sera stessa della sua risurrezione, senza Tommaso, che forse era andato a fare la spesa (chissà?), e la domenica successiva, quando anch’egli è presente facendoci meritare la più bella beatitudine del vangelo: beati quelli che pur non avendo visto crederanno. Parla di noi ed è per noi.
Queste due apparizioni, precisa l’evangelista con tanta attenzione, avvengono a porte chiuse (vv. 19.26), un dettaglio che viene ricordato solo qui.
Da molti questo particolare è stato interpretato come un segno del corpo glorioso di Gesù: pur facendosi toccare e mangiando con i suoi, egli sa superare i limiti imposti dalla nostra corporeità e attraversa la materia con assoluta scioltezza. Non si sono più limiti e barriere alla sua corporeità completamente abitata dalla forza della risurrezione. Un dettaglio che afferma la realtà di ciò che professiamo nella fede della Chiesa: la nostra carne risorgerà. Come non lo sappiamo, ma da Gesù impariamo che essa sarà una carne vera e reale ma non più segnata dalla corruzione e dal limite imposto dallo spazio e dal tempo.
Vien da pensare alle nostre case nelle quali siamo rinchiusi per evitare il contagio e per amore dei fratelli. È un’esperienza che possiamo vivere come costrizione e castigo, eppure, come è successo per i discepoli, può essere un modo per esperimentare la forza del Risorto portatore di vita che sa attraversare porte e mura per donare la pace.
Sono tanti i segni che possiamo rileggere in questa ottica: i più soli sono raggiunti dall’aiuto di chi fa la spesa per loro, dai medici e infermieri che vengono a lenire le sofferenze, da chi con una telefonata o un messaggio solleva dal peso della solitudine e rinnova i rapporti che non possono essere coltivati se non a distanza, il ricordo reciproco nella preghiera.
Il vangelo, ancora una volta, si dimostra solido, attuale e straordinario nel venirci incontro e aiuta a rileggere anche questa nostra esperienza come capace di portare bene. Non è un caso che egli abbia invitato, proprio all’inizio della Quaresima a chiudere la porta per pregare il Padre (cf. Mt 6,5); non è a caso, poi, che egli stesso si sia definito la porta (cf. Gv 10,1-2) attraverso la quale le pecore devono passare per entrare nella vita. Nella sua risurrezione comprendiamo che la sua vita incorruttibile passa ovunque, perché questa è la volontà di Dio, anche quando, per paura, le porte sono chiuse.
M.G

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