Storie dell'altro mondo: Samira e Ravi costretti a scappare dall’India
Le famiglie d’origine non li volevano insieme: lui picchiato, lei ustionata: punizione per la loro ribellione
Samira ha ancora ben marcate le ustioni sulla mano, che le sono state provocate dall’acqua bollente. Il padre l’ha punita mettendole il braccio nel pentolone della minestra, da ore sul fuoco. Lei aveva osato sfidarlo prendendosi l’amore con coraggio. Non voleva sentire ragioni contrarie alla decisione di sposare Ravi, dopo un breve periodo di fidanzamento clandestino. "Entrambe le famiglie ostacolavano la nostra relazione sentimentale - racconta - per far prevalere quei motivi di casta che condizionano ancora tanti rapporti in India, nonostante i cambiamenti regolati con un’apposita legge. D’altra parte, sono dure a morire le arretratezze culturali che resistono in larghe parti della società. Noi non volevamo recedere dai nostri intendimenti coerenti. Avevamo già una vita autonoma. Perché avremmo dovuto cedere ad assurde imposizioni: per rovinarci la vita? Abbiamo deciso di conquistarci la libertà". Quel matrimonio, però, non si doveva proprio fare, invece è stato celebrato in un tempio induista, un po’ alla chetichella per non suscitare clamore. Ma la notizia non poteva restare segreta. Entrambi sono stati così severamente puniti: lui picchiato con tanta violenza, lei barbaramente ustionata. E non sarebbe finita lì, perché le minacce erano esercitate di continuo: "Vivevamo nel terrore, non ci restava che la fuga dall’India, verso un luogo sicuro".
Lei, dopo il diploma, aveva trovato occupazione in un laboratorio di analisi mediche. Era una professionista scrupolosa, appassionata del suo lavoro. Lui aveva avviato una bottega tutta sua di abiti da uomo, interrompendo gli studi universitari in materie economiche proprio per mettere su famiglia. Da qui l’ulteriore rottura dei rapporti con i genitori. "Non ci restava altra scelta che andarcene il più lontano possibile. Così abbiamo venduto tutto - racconta Samira - per mettere insieme i soldi necessari per una nuova vita. La meta era l’Europa, perché avevamo ricevuto alcune buone referenze. Ci siamo affidati a degli intermediari per ottenere i visti e i biglietti d’aereo, privilegiando le destinazioni più economiche. Alla fine ci è rimasto poco denaro". Le prime due tappe sono state brevi, perché la coppia non ha trovato lavoro: "Né in Francia, né tantomeno in Polonia, dove siamo stati attirati da alcuni amici". Altri consigli hanno spinto Ravi e Samira verso l’Italia, dove sono arrivati nell’estate 2017, prima a Udine e poi a Pordenone, nel periodo della piena emergenza profughi, con numerose persone costrette a dormire per strada.
La Commissione ha respinto la loro richiesta di asilo, perché l’India non è considerata un Paese a rischio. Non si è quindi tenuto conto delle gravi vicende personali. A quel punto è scattato il ricorso e la decisione dovrà prendere in considerazione la novità intervenuta con la nascita in Italia della figlioletta, nel 2019. Il nucleo familiare è dentro un progetto di accoglienza gestito dalla cooperativa "Nuovi Vicini", con un alloggio condiviso con un’altra famiglia di origini indiane. Samira mostra un’immagine a cui ci tiene tanto: "Ci siamo ricavati un angolino per le nostre preghiere". Il marito non è venuto all’incontro perché lavora in una fabbrica di divani, dove può mettere alla prova le sue esperienze in sartoria. Ha un contratto a termine. Per migliorare, partecipa a tutti i corsi di formazione che gli vengono proposti. "Spero che ci vada tutto bene - sostiene Samira - perché vogliamo restare in Italia". Il suo obiettivo è di lavorare nella stessa azienda che ha accolto il marito: "Sono disponibile a partecipare a lezioni e tirocini professionali". Intanto si è messa a disposizione, come volontaria, per ogni necessità di interprete.
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