Intervista: Paola Bignardi "I giovani hanno bisogno di un adulto di riferimento"
E' colei che ha commentato, in vista del Sinodo di ottobre, il Rapporto giovani targato 2018 dell'Ist. Toniolo. Ecco l'immagine che la ricerca ha ricavato dei giovani di oggi tra superficie e profondità.
Perchè i giovani lasciano la pratica cristiana dopo la Cresima?
I giovani lasciano la pratica religiosa quando acquisiscono l’autonomia per fare qualche scelta personale; la lascerebbero anche prima, se non fosse che prima sono bambini e i loro comportamenti dipendono dagli adulti. Smettono di andare a messa la domenica, di frequentare la parrocchia e gli ambienti ecclesiali, di partecipare ad attività pastorali quando possono decidere autonomamente. Il percorso di catechesi con cui vengono preparati ai sacramenti dell’iniziazione cristiana spesso è subìto dai ragazzi, che lo associano all’idea di costrizione, di astrattezza, di apprendimento nozionistico di una dottrina; e desiderano abbandonarlo al più presto.
I giovani che sono animatori nel Grest restano più a lungo. Impegnarli nel concreto aiuta?
Il Grest o altre attività concrete sono importanti perché permettono ai ragazzi di mostrare a se stessi in primo luogo che sanno rendersi utili, perché vedono gli effetti concreti del loro impegno, perché l’impegno li esercita nella responsabilità e dà loro un ruolo attivo che li fa sentire un po’ protagonisti. I giovani vorrebbero essere sottratti al ruolo di eterni bambini che li lascia passivi, dipendenti, marginali. Quando riescono ad acquisire una loro soggettività che li riconosce non più "piccoli", ma partecipi della vita di una comunità, più facilmente la loro vita cristiana, pur tra alti e bassi, inizia una nuova fase di maturazione.
Quali sono le loro attese rispetto a famiglia, Chiesa, scuola...
Agli adulti i ragazzi chiederebbero di essere riconosciuti; vorrebbero la loro fiducia; domanderebbero di essere aiutati a diventare grandi, nel riconoscimento delle loro risorse e al tempo stesso in quella vicinanza che li fa sentire accompagnati nell’affrontare la vita. L’entrare nella vita adulta viene sempre vissuto come una sfida stimolante e impegnativa, a maggior ragione in questo contesto sociale, nel quale il continuo cambiamento dà una percezione di instabilità e di incertezza. I giovani si sentono molto soli e vorrebbero che gli adulti fossero compagni di viaggi autorevoli, credibili, affidabili.
La fotografia dei giovani di oggi che emerge dal Rapporto giovani.
Il giovane italiano oggi vive un difficile percorso verso l’autonomia, legato al fatto che il lavoro è difficile da trovare, quindi si esce tardi dalla famiglia d’origine, ci si deve abituare a dipendere a lungo dai genitori.
L’attuale è una generazione di valore, anche nel senso che crede nelle proprie capacità. I giovani intervistati nell’ambito del Rapporto Giovani sono consapevoli di essere una risorsa importante per la società. Hanno idee, energie, progetti, visioni della vita aperte sul futuro.
Desiderano cambiare ciò che in questa società non funziona e di cui loro stessi sono vittime: l’inerzia, la mancanza di grandi orizzonti, il modo lamentoso di porsi di fronte ai problemi, anziché l’audacia di pensare come cambiare le cose.
Vorrebbero potersi mettere alla prova, mostrare in concreto che un mondo migliore è possibile, che provare a combattere la povertà, l’ingiustizia e la disuguaglianza è possibile.
Sono mortificati dal dover restare in un angolo ad "aspettare il proprio turno" per prendersi delle responsabilità e operare secondo ciò che hanno in mente. Il desiderio dei giovani è quello di essere considerati un valore per la società.
Ci sono discrepanze tra il sentire religioso e la pratica, tra i valori sentiti e il vissuto (visione di famiglia, matrimonio... Dicono: perchè sposarsi se poi ci si separa).
Il mondo religioso dei giovani, segnato dal soggettivismo (ma non dall’incredulità!) li porta a una visione della vita quasi sempre sganciata dalla dimensione di fede. Sulla loro idea del matrimonio e della famiglia, molto più della fede, influiscono il modo comune di pensare, lo stile della famiglia in cui sono cresciuti, l’ambiente frequentato. Sulle loro scelte, anche affettive e familiari, influisce l’assetto della società. Ad esempio, i giovani vorrebbero un numero di figli non proprio piccolo - tre e più - ma sono consapevoli che le condizioni economiche e organizzative in cui vivono permetteranno loro di averne al massimo due. Anche la prospettiva di un futuro che i giovani vedono carico di rischi e di minacce dà loro il senso di una precarietà che li orienta verso scelte provvisorie e reversibili. Oltre il 60% di loro pensa che non esistano scelte che valgano per sempre.
La loro dimensione social (sempre con gli occhi al cellulare) cambia l’attenzione anche nelle pratiche religiose?
Anche gli adulti sono sempre con gli occhi al cellulare: basta fare un viaggio su un qualsiasi treno per rendersene conto. I giovani fanno quello che fanno gli adulti, magari lo fanno con una familiarità con lo strumento maggiore di quella degli adulti che non si sono resi conto che all’uso di strumenti potenti come i nuovi media e i social era ed è necessario educarsi ed educare. Ma questa "disattenzione" degli adulti dice soprattutto di quanto siamo stati tutti spiazzati dalla velocità delle trasformazioni che hanno toccato e continuano a interessare la società di cui siamo parte. La dimensione social è pervasiva, riguarda tutti gli aspetti della vita, anche religiosi; ma anche le opportunità che offrono potrebbero essere risorse interessanti, a disposizione anche della maturazione spirituale e religiosa.
Flavia Sacilotto
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