Decreto sicurezza: quando una legge crea nuovi poveri
Il più recente dei provvedimenti del Governo è il "decreto sicurezza" diventato legge a fine novembre: alla luce della esperienza della Caritas, ecco alcune valutazioni a riguardo.
Nell’immaginario il binomio Caritas e immigrazione è abbastanza scontato: in realtà la Caritas occupandosi di povertà, ha semplicemente incontrato immigrati poveri. A fianco di questi, già a metà degli anni novanta ci si è concentrati tra quelli che tra i migranti erano gli ultimi, ovvero le donne vittime di tratta e i richiedenti asilo e rifugiati. Nel corso quindi di più di vent’anni abbiamo attraversato il fenomeno migratorio nel nostro territorio e assistito ad alcuni cambi normativi importanti in materia di immigrazione, potendone misurare gli effetti.
Il più recente di questi provvedimenti è il "decreto sicurezza" diventato legge a fine novembre con la fiducia posta dal governo. Proviamo a fare alcune considerazioni concentrandoci su due aspetti.
Innanzitutto non è più prevista la protezione umanitaria (che per inciso non è una tipologia di permesso di soggiorno solamente Italiana) sostituita da permessi di soggiorno per "casi speciali". In precedenza la protezione umanitaria era rilasciata quando la commissione che valutava la richiesta di asilo non riteneva esserci le condizioni previste per la protezione internazionale, ma evidenziava comunque alcune possibili situazioni di pericolo in caso di rientro nel paese di origine o condizioni di vulnerabilità particolari della persona. I titolari di protezione umanitaria potevano inoltre beneficiare dell’accoglienza all’interno dello SPRAR per proseguire il loro percorso di integrazione. L’esito della nuova previsione normativa causerà quindi meno riconoscimenti e più irregolari con quello che ne deriva in termini di aumento di rischio devianza e insicurezza, considerato che i rimpatri sono complicati e molto onerosi. Il tutto nella speranza che questo dissuada le persone dal chiedere asilo in Italia.
L’altro tema riguarda la filiera dell’accoglienza. Fino ad oggi la ratio era di mettere nelle condizioni i titolari di protezione di realizzare percorsi virtuosi di integrazione, fornendo subito alfabetizzazione, formazione e integrazione lavorativa, che proseguivano anche per un periodo di sei mesi dopo l’esito positivo della domanda. Nella nuova previsione i servizi prima dell’esito sono ridotti a semplice albergaggio. Nel momento in cui la persona è riconosciuta titolare di protezione internazionale entra nel Sistema di protezione con tempi strettissimi per avviare un percorso di integrazione. Se la persona è riconosciuta titolare di un permesso di soggiorno per casi speciali è semplicemente immessa nel territorio senza che gli siano stati forniti strumenti per integrarsi.
In sintesi quello che si prospetta è: più irregolari; regolari e protetti con bassi livelli di integrazione. Quindi una fabbrica di nuovi poveri che si riverseranno sui territori. In occasione della 104° giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato il Papa individuava in 4 verbi accogliere, proteggere, promuovere, integrare le strade per gestire il diritto d’asilo. Sono verbi che richiedono però il coraggio dell’incontro con l’altro. Non certo norme che invece denotano solo coraggio nell’andare contro gli ultimi e la paura dell’incontro.
direttore Caritas, Andrea Barachino
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