Speciali
stampa

Covid: "I pazienti arrivano da noi spaventati a morte"

La testimonianza di un’internista in terapia semintensiva

Covid: "I pazienti arrivano da noi spaventati a morte"

La terapia intensiva vista con gli occhi e la visiera del medico che segue i malati Covid nei loro momenti più difficili: lo abbiamo fatto facendoci guidare da un’internista del pordenonese che lavora nel vicino Veneto. Lasciare la nostra guida nell’anonimato permette a lei - perché di medico donna si tratta - di parlare più liberamente in un’epoca in cui alcuni professionisti sono sempre in tv, ma altri - quelli che combattono a tu per tu con respiratori, le notti in corsia e gli sguardi pieni di domande dei pazienti - non possono rilasciare interviste, o meglio possono ma previa una trafila lunga e laboriosa (e questa è una considerazione di chi scrive e non di chi parla ndr.).

Dato che non c’è uno scoop a guidare le nostre intenzioni, ma piuttosto il desiderio e la necessità - sì, la necessità - di raccontare secondo verità cosa accade a chi viene ricoverato (le visite in simili reparti non sono possibili) abbiamo rinunciato alle generalità in cambio di un racconto schietto di quello che da fuori non possiamo sapere.

Com’è la terapia intensiva vista da dentro?

Preciso che io lavoro in terapia semintensiva, diciamo che ne è l’anticamera. I pazienti che arrivano al Pronto soccorso, infatti, vengono smistati dallo stesso a seconda delle loro condizioni e dei loro parametri: i più stabili vanno in reparto di medicina, i più gravi in terapia intensiva, coloro che hanno situazioni critiche ma non ancora così gravi vengono in semintensiva dove lavoro io. Lì, monitoriamo costantemente i parametri vitali di base; i pazienti ricevono un sostegno tramite i macchinari: per esempio per aiutarli a respirare in semintensiva si adoperano i respiratori o il casco.

Come si relazionano con voi i pazienti?

Posso dire che i pazienti arrivano spaventati a morte e, purtroppo, soli arrivano e molto soli restano. Abbiamo un telefono loro dedicato per fare, quando la situazione lo permette, delle videochiamata a casa, ai familiari. Però restano molto da soli perché le visite non sono possibili e anche noi medici abbiamo sempre un tempo controllato.

Cosa vuol dire: un tempo controllato?

Misurato. Mi spiego: pur essendo bardati di tutto punto, siamo comunque esposti al virus e al contagio. E quindi abbiamo regole precise anche sul tempo di permanenza.

Siete bardati come si è visto al tg?

Abbiamo addosso una serie di strati. Innanzitutto mettiamo la abituale divisa. Poi, prima di entrare nel reparto Covid, c’è una zona filtro pulita - così la chiamiamo - dove ci prepariamo: igienizziamo le mani, mettiamo i calzari, il primo paio di guanti e arriviamo a tre paia per le visite ai pazienti Covid. Quindi indossiamo la mascherina FP3 e sopra anche la chirurgica coi i pazienti.

In semintensiva e in terapia intensiva, sopra alla divisa e a quanto detto, indossiamo la tuta bianca con cappuccio e visiera, che a metà giro già si appanna e gocciola. Alcuni usano gli occhialoni ma io, portando già gli occhiali, uso la visiera.

E i pazienti?

In terapia intensiva sono nudi: non c’è alternativa, hanno i cateteri. Serve anche per mantenere perfetta l’igiene. Vengono lavati e curati da noi.

In semintensiva dipende: chi sta un po’ meno bene indossa i camicioni dati dall’ospedale, chi sta un po’ più bene indossa il suo pigiama e, ad esempio, può fare le ore di casco anche seduto in poltrona.

I pazienti come vivono la malattia?

Capita che loro stessi non si rendano conto delle condizioni in cui versano. Alcuni peggiorano e non è facile comunicare loro che li passiamo alla intensiva. A volte dobbiamo convincerli che è così: che stanno peggiorando e hanno bisogno di un tubo in gola.

Ma se uno peggiora non lo dovrebbe sentire?

E’ una malattia che fa precipitare il quadro anche all’improvviso: per questo si controlla spesso la saturazione, tanto più quando si è già in semintensiva. In dieci minuti possono peggiorare drasticamente e noi ovviamente cerchiamo di non farli arrivare a questo punto.

Ha nominato più volte il casco per respirare. E’ davvero rumoroso e fastidioso come si legge?

Il casco, che collega il paziente all’ossigeno, deve sempre restare gonfio per una ragione precisa: in questi pazienti non ci deve essere mai una chiusura dei polmoni, cosa che invece avviene nella respirazione normale.

Comunque, sì sono rumorosi. Non si tratta di brusio, è proprio un rumore più forte, tanto è vero che i caschi si forniscono con i tappi per le orecchie. La prima volta il casco va indossato a lungo: da 48 a 72 ore ininterrottamente. Fino a che fanno il casco i pazienti sono a digiuno, alimentati in vena. Poi, come diciamo noi, cominciamo a svezzarli, ovvero ad alternare periodi con a periodi senza casco, fino a che la respirazione riprende normalmente o aiutata soltanto dalla più comune mascherina dell’ossigeno attaccata a una bombola.

I turni dei medici: 8-10-12 ore?

Una volta che sono bardata per la semintensiva entro in reparto e non esco; posso entrare solo dai pazienti. Quindi andiamo con un doppio turno: 12 e 12.

Ha a che fare con i malati Covid fin dall’inverno scorso: età dei pazienti nel suo reparto?

Non c’è età che tenga, tanto più con questa seconda ondata. Non è detto che gli anziani siano sempre quelli che vanno peggio. Il primo nostro paziente andato in terapia intensiva in questa seconda fase aveva 43 anni e nessuna malattia pregressa. Diciamo che in intensiva abbiamo pazienti dai 40 ai 90 anni. Sono stati ventilati e ne sono usciti un po’ a tutte le età.

E come stanno i pazienti quando escono?

Sono fisicamente stanchi, di solito perdono peso e non sono capaci di fare sforzi. A volte si mandano a casa ancora positivi, osserveranno l’isolamento ovviamente.

Il discrimine è il cosiddetto walking test (il test della camminata), che consiste in 5 minuti di camminata in corridoio col saturimetro attaccato: lì si decide il da farsi.

Altri li mandiamo a casa ma con sussidi per la respirazione come l’ossigeno a domicilio.

Voi a casa quali regole osservate? E ci andate a casa?

Alcuni rientrano, non tutti. Io ora rientro, nella prima ondata di primavera avevo scelto di non farlo, nonostante famiglia e figli, anzi proprio per tutelare loro. Ora invece rientro, ma limito i contatti e ho una procedura scrupolosa. Una volta a casa, faccio una doccia completa col disinfettante. Mi muovo con molta prudenza.

Ai negazionisti lei che direbbe?

Li farei venire in ospedale e in reparto, ma non so se avrebbero il coraggio di entrare in ospedale. Credo che alcune persone non credano se non vedono e non toccano.

Ma se si ammalano?

Abbiamo avuto negazionisti anche tra i ricoverati: hanno, ovviamente, cambiato idea una volta entrati. Tutti, a dire il vero, tranne uno, capace di negare anche da lì.

A che punto siamo con la pandemia?

Non riusciamo a capirlo. Ora che possiamo avere più dati dai tamponi, ora che non sono più necessarie ore di fila per farli, scopriamo che tante persone sono positive anche senza sintomi. Ma è tutto variabile: un giorno abbiamo cinque ricoveri in intensiva, il giorno dopo quindici.

Vaccini: che ne pensa?

Troppo presto. Di solito servono 1-2 anni per sviluppare un vaccino. E poi, come dicevo, noi stessi non conosciamo ancora bene e del tutto il virus. E’ presto. Comunque, se le sperimentazioni daranno buoni esiti e i vaccini ottenuti saranno valutati positivamente, sarà una gran bella cosa.

Fonte: Redazione Online
Covid: "I pazienti arrivano da noi spaventati a morte"
  • Attualmente 0 su 5 Stelle.
  • 1
  • 2
  • 3
  • 4
  • 5
Votazione: 0/5 (0 somma dei voti)

Grazie per il tuo voto!

Hai già votato per questa pagina, puoi votarla solo una volta!

Il tuo voto è cambiato, grazie mille!

Log in o crea un account per votare questa pagina.

Non sei abilitato all'invio del commento.

Effettua il Login per poter inviare un commento