Il cammino è il punto d’arrivo
Serve una politica economica internazionale, unitaria, non semplicemente da "aggiustare" al proprio Paese.
Siamo ripartiti -forse anche no!- ma non siamo ancora arrivati.
Quell’arrivati è in parte una speranza, perché indica una ripartenza possibile in tutti i Paesi del mondo.
Si evocano a giorni alterni immagini inquietanti, che sottintendono concetti complessi, che tutti pensano di aver capito: immunità di gregge, contagio di ritorno, positivi asintomatici.
Non era mai accaduto che in queste situazioni i grandi poli del mondo, dalla Cina all’America Latina, agli Stati Uniti, all’Europa accettassero di accordarsi almeno in parte sui modi, sui tempi e sui mezzi per affrontare la pandemia, andando oltre il potere che i grandi gruppi economici e sociali vantano ciascuno per sé.
Perché è nato questo movimento unitario e non le grandi ribellioni dei popoli, come è successo in altre occasioni?
Vi è che nelle rivoluzioni vengono messi in discussione qualunque valore, qualunque legge in vigore.
La rivoluzione in questo caso l’ha fatta un virus minuscolo, eppure ferocissimo, che in un colpo solo, anche se è durato quasi tre mesi per l’Italia, ha modificato il modo di accostarsi alla politica, alla finanza, all’economia.
Si è fatto un salto incredibile anche nella comunicazione.
Ora si tratta di ripensare a tutto: la viabilità, la sanità, la giustizia, le scuole, le università, tenendo presente la formazione e le tappe di crescita dei bambini.
E poi l’agricoltura e l’industria agro-alimentare, che nella crisi stanno ricordando a tutti quello che sono, un settore primario e fondamentale.
Non a caso l’attenzione della politica è ora rivolta a dare dignità alla manodopera anche straniera del settore.
In questa fase di transizione, si sono amplificate le disuguaglianze sociali, c’è bisogno di un nuovo patto di solidarietà, di inclusione sociale perché nessuno resti indietro.
Questa grande crisi trasversale è un fenomeno mondiale difficile da prevedere nei suoi sviluppi, non solo per le grandi multinazionali, ma anche sul piano di uno sguardo esteso alle piccole e medie industrie.
Incredibilmente, oggi di nuovo conta la piccola azienda, quella di prossimità.
Conta anche che le grandi società finanziarie lavorino per il proprio Paese, tenendo però presente la globalità del mondo.
Serve allora una politica economica internazionale, unitaria, non semplicemente da "aggiustare" al proprio Paese.
Le alleanze dovranno tener conto non solo della convenienza momentanea, in un braccio di ferro tra forti, ma dovranno includere i popoli più deboli, le economie traballanti perché -se una cosa l’abbiamo capita in questa crisi mondiale- è che ci si salva solo insieme.
Il punto di arrivo è non solo lontano, ma neppure definito.
Davvero oggi, più che in ogni altro momento, conta non tanto dove andremo ma il cammino che faremo per arrivarci, come direbbe il poeta americano, premio nobel, Thomas Eliot.
Il cammino è il vero punto di arrivo.
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