Lessico post cristiano
Sono tante le espressioni che usiamo comunemente che trovano la loro origine in episodi narrati dal Vangelo. Una curiosità che testimonia una volta in più la presenza cristiana nella storia della nostra civiltà
Se oggi un politico può essere definito "sepolcro imbiancato" da qualcuno che lo taccia di ipocrisia, oppure può essere chiamato "Giuda" perché magari ha tradito il partito, lo dobbiamo alla lingua della Chiesa. Come pure se un parlamentare che ritorna nel raggruppamento in cui era stato eletto può essere apostrofato come "figliol prodigo" e chi ha sempre qualcosa da ridire viene indicato come chi "semina zizzania".
E se i partiti politici sono chiamati la torre di Babele, lo dobbiamo al vocabolario evangelico. Chi per una pratica burocratica deve passare da un ufficio all’altro fa la via Crucis e chi prende la tintarella come mamma lo fece si dice che è in costume adamitico.
Sono espressioni del linguaggio ecclesiastico che ci ha regalato anche il "mea culpa", cara a chi riconosce propri errori e la locuzione "Deo gratias" che spesso viene usata in modo sarcastico quando si è finalmente concluso un incontro noioso o è giunto il ritardatario di turno. "La lingua della comunità cristiana ha arricchito il dizionario italiano con parole risalenti al cristianesimo delle origini o comunque di matrice cattolica. Sono entrate a far parte del parlato e dello scritto quotidiano e da tempo hanno acquistato un senso traslato fino a diventare metafore di cui magari non si conoscono più le radici" - spiega Rita Librandi, docente di Linguistica italiana e Storia all’università l’Orientale di Napoli e autrice del libro "L’italiano della Chiesa", edito da Carocci.
La studiosa inizia con il seguente esempio. La locuzione "capro espiatorio" utilizzata per indicare chi sconta colpe altrui, è popolare. Eppure soltanto i credenti colti sono ancora in grado rdi ricondurla al passo dell’Antico Testamento dove si descrive il rito con cui gli ebrei sacrificavano un capro per chiedere perdono dei propri peccati.
E’ indubbio che il linguaggio della Chiesa è di per sé specialistico - afferma Librandi -. Esso ha uno statuto proprio che è legato all’ambito biblico, teologico, spirituale. Le parole della fede possono essere ritenute tecnicismi. Ma hanno una peculiarità, molte rientrano nell’Italiano di base, ossia in quel bacino di 6 o 7mila parole che formano il lessico del cittadino medio. Prendiamo il vocabolo "battesimo", consultando il Grande Dizionario De Mauro in sei volumi edito da Utet, è contrassegnato dalla sigla Ts, cioè tecnico specialistico. Ma al tempo stesso appartiene all’italiano di base. Di fatto un termine che ha un significato circoscritto perché rinvia a un sacramento, è diventato patrimonio du un’amplissima fetta della popolazione. Così accade che lo si possa impiegare per riferirsi al primo volo aereo che non a caso è chiamato "il battesimo dell’aria". La stessa cosa non è avvenuta e non avviene per i tecnicismi della medicina, della matematica e della finanza, chiarisce il linguista.
Un altro caso? Pilato, se nel Nuovo Testamento è giustamente un nome proprio, la lingua di tutti i giorni vuole che "pilato" sia chiunque che, per vigliaccheria o quieto vivere, evita di assumersi le sue responsabilità. E la sua vitalità lessicale ha prodotto una lunga serie di derivati da "pilatesco" al neologismo "pilatescamente". Il termine lavabo, inteso lavandino, ha origini religiose. Deriva dalla parola latina "lavabo" che si legge in un versetto del salmo 26 ed è recitato dal prete al momento di lavarsi le mani durante la Messa.
Che dire poi delle parole conclusive della celebrazione dell’Eucaristia, "La messa è finita", trasformate da Nanni Moretti nel titolo di un film del 1995.
"In pratica la religione è parte fondamentale della vita degli italiani - osserva la docente -. E anche quando la società si è progressivamente laicizzata, con l’unificazione del Paese e soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, l’educazione religiosa e ancor di più il sentimento cristiano non sono venuti meno. Ecco perché il nostro parlare contempla "vocaboli e immagini bibliche nonostante un individuo possa essere non credente".
Non è unico lascito linguistico della comunità ecclesiale. "Oggi la Chiesa è il principale megafono italiano all’estero - sottolinea Librandi -. Benchè resti il latino la sua lingua ufficiale, un’eco planetario le viene dal fatto che moltissimi sacerdoti, religiosi e religiose dei cinque continenti, impegnati negli studi a Roma, sono tenuti a parlare l’italiano. Questo fa sì che la nostra sia una sorta di lingua veicolare all’interno del mondo ecclesiale".
La Chiesa è anche una straordinaria "scuola di lettere". Dal Verbo ai verbi. "La comunicazione è la parola all’ordine del nostro tempo - dice la linguista -. Un linguaggio specialistico è in grado di spiegare alla gente concetti complessi in modo comprensibile. Lo fa, come testimonia già la Sacra Scrittura, con riferimenti alla vita concreta, metafore, con similitudini. Tutto ciò sfata il falso mito di una Chiesa oscurantista, disinteressata alle persone comuni. Puntando sulla predicazione e sulla catechesi, ha educato anche linguisticamente per secoli gli italiani, ben prima che l’Italia ci fosse in quanto tale".
E ancora oggi la Chiesa arricchisce il dizionario collettivo. Lo dimostra Papa Francesco. Alcune sue intuizioni sono diventate espressioni linguistiche in voga: da "Chiesa in uscita" a "cultura dello scarto", passando per "globalizzazione dell’indifferenza" o "la Terza guerra mondiale a pezzi".
La loro fortuna è connessa principalmente alla cassa di risonanza mediatica che le porta nelle case. Certo, non sappiamo quanto resteranno nel tempo. Però si sono ritagliate un posto di onore negli scritti e nelle conversazioni di questi anni.
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