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La breccia di Porta Pia

Quando Roma divenne la capitale dell'Italia unita

La breccia di Porta Pia

Il 20 settembre 1870, con la breccia di Porta Pia, Roma venne annessa al Regno d’Italia. Il fatto scatenò una lunga crisi nei rapporti tra il papato e il Regno d’Italia.
Il 27 marzo 1861, dieci giorni dopo la proclamazione del Regno, Cavour pronunciò lo storico discorso: "Libero Stato in libera Chiesa". Per completare l’unità d’Italia si doveva annettere lo Stato pontficio e Cavour si rivolse a Pio IX: "Santo Padre, il potere temporale per voi non è più garanzia. Rinunciate ad esso e noi vi daremo la libertà che da tre secoli altre potenze cattoliche non vi hanno garantito".
Nella stessa seduta la Camera parlamentare decretò che Roma era, per il momento, la capitale virtuale del Regno d’Italia.
Poche settimane dopo Cavour morì. I governi successivi si dettero da fare per limitare i privilegi riservati al clero, tra molte polemiche.
La fortuna favorì l’Italia. Nel luglio del 1870 scoppiò la guerra tra Russia, Prussia e Francia e i tedeschi arrivarono fino a Parigi. Le divisioni francesi che difendevano lo Stato pontificio abbandonarono Roma e il governo italiano colse l’occasione per dichiararla, il 5 settembre, Capitale del Regno d’Italia.
Il giorno dopo, il 6 settembre, le truppe italiane varcarono i confini dello Stato pontificio presidiato solo dalla sparuta Guardia Svizzera. Il 20 settembre i cannoni italiani spararono alle mura leoniane aprendo  una breccia in località Porta Pia. Attraverso  quel varco entrarono i bersaglieri, piume al vento, di corsa. I romani, abituati a non darsi mai fretta non credevano ai loro occhi.
Nel 1870 i romani erano 350 mila, per la metà disoccupati. Trentamila erano mendicanti. La parte attiva era così composta: un terzo di preti, un terzo di chi lavorava poco e l’altro terzo era fatto da chi tirava a campare. Figuratevi una città senza agricoltura e senza industria, la cui unica risorsa erano i pellegrini che visitavano le chiese e mangiavano nelle bettole.
Le maggiori menti della politica e della cultura italiana fra Settecento e Ottocento avevano un grave sospetto verso Roma che ritenevano "più papalina che italiana". Manzoni evitò sempre di andarci, il Leopardi scrisse lettere terribili su di essa, l’Alfieri la definì "sede di ogni vizio". Per D’Azeglio Roma era una sciagura nazionale. Tra gli stranieri James Joyce scrisse che Roma aveva un glorioso passato e un miserevole presente, i romani campano mostrando ai turisti le tombe dei loro illustri avi.
La Chiesa non riconobbe il Regno d’Italia che di conseguenza non fu riconosciuto da altre nazioni. L’8 ottobre 1884 Pio IX emanò l’enciclia Quanta cura il cui succo è che la Chiesa è una società perfetta, autonoma da ogni altro potere. La democrazia nata dall’illuminismo è contro la ragione obiettiva e la giustizia secondo la legge rivelata. Ai cattolici era vietato impegnarsi in politica: non expedit. Gli "invasori" della Città Santa, cioè i Savoia e il governo del Regno, venivano scomunicati. Pio IX, dichiarandosi prigioniero degli invasori, non uscì più dai palazzi pontifici. Il governo del Regno rispose a pan per focaccia con una mitragliata di leggi: soppressione degli ordini religiosi, incameramento dei beni ecclesiastici, la giurisdizione sui cimiteri non rimase più alla Chiesa, l’obbligatorietà del servizio militare anche per i seminaristi, l’obbligo del matrimonio civile anche per chi contraeva quello religioso.
Nel 1867 Garibaldi organizzò una spedizione militare verso Roma nella speranza che la gente si sollevasse. Ma fu sconfitto dall’esercito francese a Mentana ed esiliato a Caprera.
Pio IX, l’8 dicembre, convocò i vescovi per il Concilio Vaticano I e dettò le sue regole che resteranno in vigore per oltre un secolo: anzitutto l’infallibilità papale in materia di fede e di morale. A tutt’oggi questa dichiarazione crea problemi nel dialogo tra i Cattolici e le altre confessioni cristiane, il dogma del potere religioso e temporale del papa.
Con la presa di Roma iniziò un lungo periodo di crisi nei rapporti tra Regno d’Italia e Santa Sede fino alla così detta riconcilazione nel febbraio del 1929 tra Pio XI e Mussolini, con i Patti Lateranensi. Più che altro fu un compromesso che non risolse il rebus di fondo: Roma era capitale dell’Italia unita o la Città Santa governata dal successore di Pietro? Nei testi di Diritto Canonico, in uso nei seminari, si sosteneva la seconda tesi fino al Concilio Vaticano II, negli anni Sessanta e fino a quando quel sant’uomo di Papa Roncalli uscì dall’isolamento del Vaticano in cui i suoi predecessori si erano polemicamente trincerati e andò a trovare i carcerati di Regina Coeli, i malati negli ospedali e le parrocchie della periferia.
Nella primavera del 1961, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, col suo sorriso disarmante disse che una cosa è il Regno dei cieli e un’altra sono i regni di questo mondo e che l’unità d’Italia era stato un bel dono della Provvidenza.

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