L'agenda di don Serse
Pasqua: i parroci benedivano le famiglie. Cosa si fa adesso?
Da sempre in Quaresima e nel Tempo pasquale i parroci benedicono le famiglie. E’ un modo per rinnovare la fede e consolidare la fraternità e la comunione nel territorio. Affonda le sue radici nell’eredità del Concilio di Trento la tradizione di benedire le famiglie nel periodo di Pasqua che, a distanza di quasi cinquecento anni, marca ancora una parte consistente delle parrocchie italiane. Quando è nata, la benedizione annuale dei nuclei familiari, rappresentava un momento per consolidare la fede e preservarla dalle correnti ereticali. Oggi è definita "occasione preziosa che i sacerdoti e i loro collaboratori devono tenere particolarmente a cuore per avvicinare e conoscere tutte le famiglie del territorio".
"Certo - scrive il docente di liturgia e parroco nella diocesi di Alessandria, don Silvamo Sirboni -, in un contesto multi religioso come il nostro, segnato da sistemi e ritmi di lavoro che costringono alla mobilità e svuotano di giorno i quartieri, questa attività pastorale trova non poche difficoltà, specie nei centri urbani. In ogni caso resta un punto fermo nelle agende parrocchiali, non solo nei piccoli paesi ma anche nelle grandi città.
Va comunque liberato un tratto dominante, soprattutto in passato, che riduceva tutto a un gesto esteriore dal valore scaramantico, che libera da diavoli e malasorte. Ecco perché sempre il Benedizionale ci tiene a precisare che non si deve fare la benedizione della casa senza la presenza di coloro che la abitano. Del resto, il senso di questa tradizione può essere desunto dalle parole con cui il sacerdote introduce il rito. "Con la visita del pastore - annuncia il prete entrando - è Gesù stesso che entra in questa casa e vi porta la sua gioia e la sua pace".
Proprio l’annuncio della pace di Cristo è il cuore di questa iniziativa. Non è un caso che la Chiesa inviti i parroci a considerare "uno dei compiti privilegiati della loro azione pastorale la cura di visitare le famiglie", fedeli al mandato del Signore: "In qualunque casa entrate, prima dite: Pace a questa casa. Ed ecco che il primo saluto del sacerdote è oggi: Pace a questa casa e ai suoi abitanti".
I fondamenti si trovano nella Scrittura. Il Dio della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dell’Egitto e della risurrezione del suo Figlio "passa" nel luogo principale della vita ordinaria, per sostenere il cammino quotidiano. Lo ricordano le intenzioni di preghiera in cui si chiede al Signore di "riempire la casa della Sua dolce presenza con la potenza dello Spirito".
Inoltre l’incontro del sacerdote con le famiglie diventa opportunità per un discreto annuncio del Vangelo. Così il rito unisce la preghiera all’ascolto della Parola che viene proposta attraverso brani biblici.
La benedizione annuale è anche un richiamo a riconoscere nel Signore "il principio e fondamento su cui si basa e si consolida l’unità della famiglia". Come icona viene indicata quella della Sacra Famiglia in cui Cristo, insieme con Maria e Giuseppe, ha santificato la vita domestica. Segno concreto è l’aspersione con l’acqua benedetta che la gente chiama "acqua santa". Rappresenta una "viva memoria del Battesimo in cui siamo divenuti figli di Dio" e col quale "il Signore aggrega alla famiglia nello Spirito per rinnovare l’adesione a Cristo, dice il sacerdote mentre compie il rito.
Da ricordare che la benedizione annuale è un impulso a rinsaldare i legami con la parrocchia e a riflettere sul cammino comunitario. Offre anche la possibilità di tastare il polso della vita spirituale tra le mura domestiche in modo da individuare le difficoltà e le sfide che una parrocchia è chiamata ad affrontare.
La visita alle famiglie resta, in ogni caso, un momento di missionarietà dell’intera comunità in uscita.Stando ai registri parrocchiali, tutti sono battezzati e hanno fatto la prima comunione e il funerale in chiesa non si nega a nessuno. Ma tutto questo ha ancora senso? Il Battesimo, la prima comunione sono solo il posare la prima pietra di un edificio, sono l’inizio di una vita centrata su Cristo e il suo Vangelo. Che senso hanno se poi in famiglia non si prega, se nella vita quotidiana si fanno scelte non coerenti con la fede professata.
Il prete bussa a ogni porta per ricordare che ogni battezzato dovrebbe sentirsi di casa nella sua parrocchia, la comunità che gli ha dato il benvenuto il giorno del battesimo e ogni domenica lo aspetta attorno alla mensa del Signore.
La visita in ogni caso è un’occasione per vincere il senso di estraneità, per tessere relazione con la gente, per questo il mio amico, il mitico don Serse, in questa occasione, cerca di incontrare tutti. Va con calma, nel tardo pomeriggio. Se il caso, ripassa. Si ferma volentieri per conoscere meglio persone e problemi. Si informa se ci sono infermi o ammalati che gradiscono di essere visitati qualche altra volta, non necessariamete dal prete ma anche, dove c’è, da un ministro dell’Eucaristia.
Per don Serse, in queste settimane, l’incontro con le famiglie ha la priorità su ogni altro impegno. Lo si vede spesso girare in bici. Nella borsa tiene l’aspersorio, la stola e la grossa agenda che alla fine è zeppa di note, indirizzi e numeri di telefono. Ogni settimana convoca il consiglio pastorale al gran completo. Fanno il punto sulla situazione, si sentono i vari punti di vista, si formula qualche proposta. Ci si guarda attorno per coinvolgere altri, per cercare disponibilità. Prima di darsi la buona notte invocano lo Spirito Santo, quello che piombò a sorpresa sulla prima comunità cristiana della storia all’inizio non era un granchè, 11 ancora frastornati, pieni di incertezze e di paure. Eppure proprio così è cominciata la straordinaria storia che ha cambiato il mondo. La storia continua anche in questo 2018 come abbiamo scritto nella Grande veglia sul cero pasquale. Sta a vedere che se apriamo le nostre porte e finestre alle ventate dello spirito, le nostre famiglie, i consigli pastorali e la gente cambia da così a così.
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