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Buon primo maggio

Ogni primo maggio è un messaggio che va cercato, scoperto e decifrato nelle pieghe del nostro presente, nelle sue contraddizioni, nelle sue difficoltà e nelle sue speranze.

Buon primo maggio

E’ difficile fare festa in questo primo maggio. Come celebrare la festa del lavoro quando augurare "Buon lavoro", soprattutto ai giovani sta diventando imbarazzante in una società che sta distruggendo il lavoro? E che festa è oggi per chi è costretto a lavorare anche in un giorno come questo per consentire i nostri ritmi consumisti? Eppure dobbiamo continuare a fare festa anche, e soprattutto, per chi non può festeggiare.
Ogni primo maggio è un messaggio che va cercato, scoperto e decifrato nelle pieghe del nostro presente, nelle sue contraddizioni, nelle sue difficoltà e nelle sue speranze.
Dopo anni molto duri, pian pianino stiamo ripartendo. Dobbiamo comunque pensare che il primo indicatore che ci dirà che spunta l’alba di un nuovo giorno, sarà la capacità di generare lavoro per tutti e, anzitutto, per i giovani. Quando un Paese non riesce ad occupare i giovani - che sono sempre la sua parte migliore e più creativa - produce due gravi danni: 1- spreca l’energia più potente che possiede. 2 - Nega al suo presente promettente e al suo futuro la possibilità di fiorire. Quando una ragazza o un giovane , una volta concluso il suo processo formativo, non trova in breve tempo l’opportunità concreta di far fiorire nel lavoro la sua formazione, assiste all’appassimento del suo potenziale creativo e fa svalutare il suo capitale umano.
I capitali di un Paese - non dimentichiamolo mai - sono certo composti dalla sua tecnologia, dai suoi patrimoni culturali, dai suoi mezzi finanziari ed economici. Ma il suo primo capitale, il più produttivo e prezioso, sono le persone e, tra queste, i giovani. Lasciar sfiorire questi capitali personali è reato civile e morale che ha le sue amare conseguenze. Lo spreco di questi capitali riduce il domani, un domani molto prossimo, la competitività economica e la robustezza etica e sociale, allenta il legame sociale, impoverisce tutti. E’ un reato che stiamo perpetrando da troppo tempo e che dobbiamo assolutamente fermare. A tutti i livelli. Anzitutto sul piano politico, istituzionale e sindacale. Dobbiamo dar vita, subito, a una redistribuzione del lavoro che c’è. Dobbiamo incentivare il part-time per gli over ’55 (con opportune agevolazioni fiscali e pensionistiche che non penalizzino troppo chi fa questa scelta), in modo che una significativa quota di giovani possa usufruire di questo "lavoro liberato". E’ sciocco e senza futuro un Paese dove gli adulti non sentono l’urgenza di far spazio ai loro giovani. E’ questa una applicazione di quella fraternità civile che abbiamo posto al centro dell’Umanesimo moderno, un principio essenziale nei momenti di crisi. Ne siamo stati capaci dopo terremoti, catastrofi naturali e civili, ne dobbiamo essere capaci anche oggi per uscire da questa crisi di lavoro che non fa meno vittime e danni.
C’è poi da lavorare sul lato della scuola e dell’istruzione. Non possiamo riformare il sistema educativo facendo leva sull’incentivo e sulla managerializzazione della scuola. Occorrono più innovazione e impegno formativo. L’Italia che ha inventato per secoli le università, le scuole, le accademie e il mondo intero ha imparato da noi. Oggi, invece, non solo abbiamo smesso di innovare, ma stiamo supinamente importando logiche e strumenti di gestione della scuola, da quegli universi culturali che leggono la scuola e l’istruzione all’interno della logica del mercato da essi inventata. La scuola, l’università devono presto aggiornarsi per stare al passo con un mondo e con un lavoro che cambiano sempre più in fretta, Ma non ci riusciremo trasformando le scuole in imprese. Troppo semplice, troppo poco. I bambini e i giovani sono troppo preziosi per lasciarli in mano alla logica dei conti e dei profitti. Ogni processo educativo è un intreccio di stima, di riconoscimento, di reciprocità, di gratitudine; anche di incentivi, che però funzionano solo quando inseriti dentro questa grammatica più grande. C’è troppa economia, troppo linguaggio economico dentro i luoghi dell’educazione. Il bilancio e le risorse finanziarie sono vincoli e mezzi dell’educazione, non il fine. Quando lo diventano la scuola fallisce, anche se ha i bilanci in attivo.
La festa del primo maggio deve infine ricordarci che senza lavoro non sappiamo più parlar bene gli uni degli altri. Il lavoro è il "verbo" della grammatica sociale, ciò che ci lega e dà senso alle relazioni. Tutti i giorni ci incontriamo, parliamo, cooperiamo grazie al nostro lavoro. Quando la gente resta fuori del mondo del lavoro, nella nostra società molte parole perdono il significato sociale. Il nostro discorso collettivo diventa monco, la nostra democrazia, la nostra Repubblica perdono il loro primo fondamento. L’Italia è una Repubblica democratica perché fondata sul lavoro.
Infine è molto significativo e importante che la nostra civiltà onori il lavoro con un giorno di festa, di non lavoro. Per la buona festa il lavoro è necessario. E viceversa. Privare una persona del lavoro significa privarla della gioia della festa. Troppe persone hanno perso in questi anni difficili il loro primo maggio. E’ ora che tornino a far festa.

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