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Paolo VI e le Brigate Rosse

Papa Montini tentò sino alla fine di salvare Aldo Moro

Paolo VI e le Brigate Rosse

Era il 9 maggio del 1978 quando venne trovato il cadavere di Aldo Moro al termine di 55 giorni che sconvolsero l’Italia.
Lo trovarono nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani, un luogo simbolico, a metà strada tra Piazza del Gesù, dove c’era la sede nazionale della Democrazia Cristiana, e Via delle Botteghe oscure, quartier generale del Partito Comunista.
Poche ore dopo il ritrovamento, annunciato telefonicamente dal brigatista Valerio Morucci, Francesco Cossiga si dimise da ministro dell’interno, la famiglia di Moro rifiutò i funerali di Stato ritenendo che le istituzioni responsabili non avessero fatto abbastanza per salvargli la vita.
Tra i fondatori della Democrazia cristiana e rappresentante del suo partito alla Costituente, Aldo Moro divenne segretario della DC nel 1959. Più volte ministro, da Presidente del Consiglio guidò diversi governi di centrosinistra (1963 - 68), promovendo dal 1976 la strategia dell’attenzione verso il Pci. Il sequestro avvenne proprio mentre prendeva forma il governo di solidarietà nazionale progettato dallo stesso segretario del Pci, Enrico Berlinguer.
Alcuni giorni dopo il ritrovamento, papa Paolo VI, amico e confessore dello statista, fece una commemorazione funebre pubblica a cui parteciparono numerose personalità.
Nei giorni che seguirono il sequestro, il 16 marzo in via Fani, in cui l’autista e gli uomini della scorta persero la vita, il caso Moro riempì le pagine dei giornali, con varie congetture e ipotesi sul luogo del suo nascondiglio e sulla sorte che lo aspettava. Si parlò molto anche di trattative segrete per il suo rilascio tra le Br e il governo. Voci incontrollate tirarono in causa anche il Vaticano, disponibile a pagare per la liberazione.
Quanto qui riportato è attestato da documenti inediti e presentati in un’anteprima al salone del libro di Torino il 17 maggio, "Aldo Moro, fine di un mistero".
Si era vociferato per anni che papa Paolo VI avesse tentato in ogni modo di salvare lo statista anche pagando un’ingente somma ai sequestratori.
Già il 19 febbraio 2015 la notizia era riemersa durante un’udienza al processo Stato-mafia in corso a Palermo, grazie alla testimonianza di Fabbri. Ma è solo col lavoro della commissione, ad oltre quarant’anni di distanza, che è stato appurato che papa Montini si prese personalmente a cuore la vita di Moro e fece l’estremo tentativo di trattare il riscatto con i suoi carcerieri. Si è parlato di una cifra pari a 50 miliardi di vecchie lire messa a disposizione dall’allora Ior.
Quanto qui scrivo è basato sui documenti raccolti dalla commissione in questi anni, alcuni desecretati nel 2017. Molti di essi si trovano in una pubblicazione presentata nel salone del libro a Torino nel corso del convegno "Moro. Fine di un mistero". (10 maggio 2018).
Come veramente andarono le cose lo sappiamo solo dall’anno scorso, 2018, da quando monsignor Fabio Fabbri che, fino al 1999 è stato vice ispettore e braccio destro dell’uomo che per conto del Vaticano gestì la trattativa. Davanti alla commissione Moro2, ha detto di aver incontrato chi ha messo a disposizione la somma per la liberazione dello statista. Era un uomo di affari israeliano di origini francesi, Samuel Sammy Flatto Sharom che all’epoca del sequestro era membro dell Kneset dove rimase parlamentare fino al 1981. Dopo riscontri ottenuti indipendentemente dall’organismo parlamentare, i dati sono confermati dallo stesso Fabbri.
Di questo tentativo di Paolo VI ne parla anche Giulio Andreotti nei suoi diari, pubblicati da Rizzoli. Il malloppo per il riscatto fu per settimane custodito in una cassaforte blindata a Castengandolfo.
Nel corso degli interrogatori il Morucci e la Faranda hanno confermato di avere incontrato un sacedote con la proposta di un possibile riscatto. Ne discussero al vertice delle BR e prevalse la linea dura: avrebbero trattato solo col governo italiano, ogni intermediazione sarebbe apparsa un cedimento.
La vicenda di Moro non fu per Paolo VI solo una tragedia politica, ma anche umana e personale. Un dramma che accelerò la decadenza psicofisica del pontefice che morì il 6 agosto dello stesso anno a Castengandolfo, la villa pontificia segnata da quella sciagura.

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