Il vecchietto dove lo metto?
Il buon Enea se lo caricò sulle spalle e lo portò con sè
Fino a qualche decennio fa gli anziani abitavano con i giovani. Erano le famiglie patriarcali, possibili nella civiltà contadina quando tutti lavoravano in campagna e si viveva senza tante comodità nelle case disseminate tra i campi. La morte arrivava mediamente tra i sessanta e i settant’anni. Quando le forze venivano meno si passava dalla poltrona al letto. Oppure il nonno era messo su una sedia nel cortile tra le galline che razzolavano e i bambini che giocavano.
A poco a poco sono cresciute le città dove molti hanno trasferito la loro abitazione e il lavoro. Lì tutto è cambiato. Gli appartamenti sono troppo piccoli per ospitare più di tre o quattro persone. Marito e moglie stavano fuori casa per lavoro, fino a sera e non c’è più spazio per i nonni.
Oggi i nonni stanno facendo il loro ritorno nell’orizzonte delle famiglie, positivamente come nuovi e indispensabili educatori dei nipoti. Il tempo del pensionamento non deve per nessuno essere un tempo vuoto. Dobbiamo aiutare gli anziani a riscoprire nuove ragioni di vita. Grande è ancora il contributo che possono dare alle giovani generazioni e alla società.
Quando le forze vengono definitivamente meno gli anziani rappresentano una preoccupazione per i figli che sentono la responsabilità di doversi occupare di genitori ottantenni o novantenni rimasti soli e non più autosufficienti.
E’ una delle emergenze più gravi che i Paesi dell’Occidente sono chiamati ad affrontare.
Chiediamoci una buona volta: gli anziani cosa sono per noi, per le nostre famiglie, per i loro nipoti saputelli che a volte li sbeffeggiano?
Nella società sempre più accelerata e giovanilistica il nonno è un ingombro, è un relitto di un passato che ci siamo lasciati alle spalle. Per famiglie e comunità i vecchi sono pesanti, tediosi. Non trovano chi li ascolti con attenzione, li guardi con affetto. E’ giusto tutto questo? Non sono, pure loro, nostro prossimo? Nella Bibbia, gli uomini di Dio vivono centinaia di anni e restano un riferimento per le loro numerose progenie. L’anziano, nella cultura antica, era un valore di memoria e di saggezza, in società composte di adulti, di giovani e ragazzi.
Già negli anni delle scuole medie, leggendo l’Eneide, abbiamo incontrato Anchise. Troia brucia e i pochi superstiti si organizzano per fuggire. Il nobile vecchio non vuole partire con gli altri. "Voi, voi più giovani con più vigore e anni da vivere per tentare la fuga. Se i celesti e la patria mi avessero preservato...".
Se la vita coincide con la giovinezza e il vigore, la vecchiaia è un peso inutile. Il mondo di Anchise è finito, lui chiede di essere lasciato indietro. Niente sembra smuoverlo come spesso si vede in molti anziani. Ma, nel racconto di Virgilio, succede qualcosa di strano sulla fronte del nipotino. "Ecco, leggero sopra di lui, Iulo effondere bagliore e luce". Pare che i capelli ardano senza bruciare. Un segno sbalorditivo. Anchise esultante con con gli occhi alle stelle, capisce che si tratta di un segno del cielo: la luce non è solo la mera sopravvivenza ma un segnale che viene dal futuro e allora commosso esclama: "Ora non metto più inciampi ma vi seguo".
In mezzo al fuoco della distruzione si è accesa la luce della speranza. E proprio il vecchio sarà un riferimentoo indispensabile per i superstiti in fuga. Egli, guardando al cielo, guiderà i sopravvissuti in un lungo cammino di speranza ritrovando il filo della storia che li condurrà a fondare una nuova civiltà.
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