Commento al Vangelo
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Domenica 23 febbraio, commento di don Renato De zan

Mai più occhio per occhio: questo insegna Gesù, nel suo difficile messaggio che è un messaggio d'amore rivolto a tutti, a partire dai peccatori.

Parole chiave: Domenica (46), Diocesi (190), Vangelo (126)
Domenica 23  febbraio, commento di don Renato De zan

Mt 5,38-48
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste".

Tematica liturgica
Nel vangelo odierno (Mt 5,38-48) continuano e si chiudono le antitesi, la cui prima parte è stata proclamata domenica scorsa. Riguardano il "malvagio" e il "prossimo". Come il discepolo di Gesù deve comportarsi con queste persone? Non può comportarsi come i pubblicani o come i pagani ("Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?"). Come deve comportarsi allora? La risposta sembra esserci nell’affermazione di Gesù: "Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Apparentemente il problema è risolto. Di fatto non lo è.
Uno degli amici di Giobbe - a dir il vero poco amici - propone un’affermazione che fa riflettere. Sofar dice: "Credi tu di poter scrutare l’intimo di Dio o penetrare la perfezione dell’Onnipotente? (Gb 11,7). Si può conoscere la perfezione di Dio? Con la propria forza l’uomo non può pretendere né di conoscere né di raggiungere la perfezione dell’Onnipotente, ma può sempre mettersi in cammino verso quello che di quella perfezione può conoscere. Questo sembra sia il pensiero di Gesù. Infatti, se esaminiamo il testo greco dell’espressione "Voi, dunque, siate perfetti (ésesthe un umèis téleioi) come è perfetto il Padre vostro celeste", facciamo una scoperta interessante. Il testo greco, infatti, non ha un congiuntivo esortativo, ma un futuro (ésesthe = sarete). Alcuni biblisti pensano che quel futuro rispecchi un originale yiqtol ebraico - forma del verbo ebraico corrispondente in maniera grossolana al nostro futuro; è la forma verbale dei comandamenti -, e perciò va reso con un congiuntivo esortativo. Ma si tratta solo di un’ipotesi e su questa ipotesi è stata fatta la traduzione italiana. Altri biblisti, invece, non accettano la traduzione con il congiuntivo esortativo, bensì rispettano il futuro (così come appare nel testo originale) e traducono: "Voi, dunque, sarete perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Essi vedono in questo futuro la mèta del cammino del cristiano. La perfezione nascosta negli insegnamenti in forma di paradosso, è una meta. Il discepolo di Gesù è chiamato a mettersi in cammino per raggiungere tale meta. Sicuramente non potrà diventare perfetto come il Padre, ma nella vita avrà attuato un cammino di avvicinamento secondo la logica della proporzionalità (chi ha ricevuto più talenti, se coerente, risponderà di più; chi ne ha ricevuti di meno, risponderà di meno). Ciò che è fondamentale è il cammino. Alla fine della vita, Dio ci farà simili a Lui (cf 1Gv 3,2: "Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è"). In questo pellegrinaggio, il discepolo di Gesù è chiamato a opporsi al malvagio non con le armi del malvagio, ma cercando la verità. Gesù lo ha fatto. Schiaffeggiato, non ha offerto l’altra guancia, ma ha posto due domande: "Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?" (Gv 18,22-23). Il discepolo di Gesù, inoltre, è chiamato a includere nel prossimo da amare anche il nemico, sapendo bene che l’amore per il nemico non è sentimento affettivo, ma scelta di prendersi cura dell’umanità del nemico come fece il samaritano con il suo nemico ebreo.

Dimensione letteraria
Il brano evangelico è introdotto da un incipit liturgico che chiarisce l’identità del mittente e del destinatario: "In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli". Il brano chiude la pericope delle antitesi con due illustrazioni secondo il genere del paradosso. Con questi esempi, Gesù vuole superare una volta per tutte la legge del taglione e il concetto di prossimo come correligionario buono.

Esegesi biblico-liturgica
a. Il rapporto tra ebrei, inizialmente, era regolata dalla legge del taglione ("Occhio per occhio….": cf Es 21,23-25). Si trattava di un grosso progresso rispetto alla legge di Lamech o legge della prepotenza prevaricatrice ("Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura…": cf Gen 4,23-24). La proposta di Gesù è rivoluzionaria. Non rispondere allo stesso modo con cui l’altro ti fa del male.
b. Un convertito purtroppo dimenticato, Dino Segre (Pitigrilli) scriveva: "Per capire i paradossi bisogna essere intelligenti, per seguirli imbecilli" (cf il libro "La piscina di Siloe").

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