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Domenica 27 ottobre, comemnto di don Renato De Zan

Ai tempi di Gesù, si riteneva che il credente potesse essere salvato perché osservava in modo scrupoloso la legge. L’uomo si salvava da solo. Questa convinzione portava alcuni ad essere presuntuosi. Il messaggio centrale di Gesù si colloca all’opposto:l’uomo che si affida a Dio viene salvato da Dio 

Parole chiave: Vangelo (126), Diocesi (190), De Zan (47)
Domenica 27 ottobre, comemnto di don Renato De Zan

Lc 18,9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: "O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato".

Tematica liturgica
Ai tempi di Gesù, si riteneva che il credente potesse essere salvato perché osservava in modo scrupoloso la legge. L’uomo si salvava da solo. Questa convinzione portava alcuni ad essere presuntuosi e, purtroppo, a disprezzare coloro che non potevano avere questa sicurezza di salvezza perché notoriamente peccatori. Questo atteggiamento così articolato e irritante veniva ampiamente attenuato, se non contestato dalla teologia sapienziale. L’autore del libro di Giobbe insegnava ai suoi discepoli il dubbio: non siate presuntuosi di essere giusti o innocenti davanti a Dio (Gb 4,17: "Può il mortale essere giusto davanti a Dio o innocente l’uomo davanti al suo creatore?"). Ad contestare la presunzione di essere giusti davanti a Dio, ci pensava il Siracide: "Non farti giusto davanti al Signore né saggio davanti al re" (Sir 7,5). Sulla presunzione e il disprezzo, l’autore del libro dei Proverbi insegnava che "chi disprezza il suo prossimo è privo di senno, l’uomo prudente invece tace." (Pr 11,12) e "chi disprezza il prossimo pecca, beato chi ha pietà degli umili." (Pr 14,21).
Il messaggio centrale di Gesù si colloca all’opposto di coloro che pensavano di salvarsi da soli e, nella loro presunzione, disprezzavano i peccatori. Con le sue parole e con le sue opera, Gesù dimostrò che l’uomo che si affida a Dio viene salvato da Dio ed è salvato prima di tutto per grazia (cfr il buon ladrone). Se fosse vero quanto pensavano gli ebrei di allora, la croce di Gesù sarebbe stata inutile. Se uno, infatti, si salva da solo, per i meriti propri, che bisogno c’era che Cristo morisse e risorgesse?
La parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14) è un modo chiaro di insegnare quanto Gesù ha annunciato lungo il suo apostolato pubblico. La mentalità del fariseo si fonda su due dati: la comparazione di se stesso nei confronti della legge e la comparazione di se stesso nei confronti dell’altro. La mentalità del pubblicano, invece, non la pretesa di presentare a Dio dei meriti per mercanteggiare la salvezza. Ha solo se stesso con la consapevolezza di essere peccatore, di aver bisogno di perdono e del fatto che Dio può perdonarlo. Gesù propone al credente una misura, irraggiungibile: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). Si tratta di una proposta in perfetta consonanza con il principio della teologia sacerdotale dell’A.T.: "Siate santi, perché io sono santo (cfr Lv 11,44.4519,2; 20,7;20,26; ecc.). Circa, poi, la comparazione con gli altri, Gesù ha parole di fuoco: "Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello" (Lc 6,42)

Dimensione letteraria
La liturgia aggiunge solo l’incipit ("In quel tempo) al brano biblico originale. L’inizio del vangelo (Lc 18,9) orienta il lettore verso la comprensione del racconto: si tratta di una parabola illustrativa (per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri). Subito dopo c’è il racconto (Lc 18,10-13). Chiude il testo biblico l’insegnamento del Maestro (Lc 18,14), che deve aver stupito moltissimo gli ascoltatori di allora (e forse, anche di oggi). Nei testi rabbinici si trovano racconti simili a quello di Gesù. Anche la preghiera del pubblicano non è un’invenzione di Gesù. Il Maestro l’ha modellata sul Miserere (Lc 19, 13: "O Dio, abbi pietà di me peccatore" // Sal 51,3: "Pietà di me, o Dio, nel tuo amore").

Riflessione liturgico-biblica
a. Questo testo evangelico manifesta tutta l’amarezza di Gesù per la mentalità farisaica. Già in precedenza il Maestro aveva detto qualche cosa di molto duro ai farisei: "Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio." (Lc 16,15).
b. Paolo riprende l’insegnamento di Gesù: "Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio…. Quindi ciascuno di noi renderà conto di se stesso a Dio. D’ora in poi non giudichiamoci più gli uni gli altri; piuttosto fate in modo di non essere causa di inciampo o di scandalo per il fratello" (Rm 14,10-13).
c. Il pubblicano sa benissimo che non può vantare niente davanti a Dio e si affida, nella consapevolezza di essere nel peccato, alla misericordia di Dio. Preferisce pregare con le stesse parole del salmista. Lo stesso atteggiamento è suggerito dalla seconda petizione della Colletta propria: "Fa’ che ci apriamo alla confidenza della tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome".

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