Domenica 2 ottobre, commento di don Renato De Zan
"Siamo servi che non danno niente al padrone che egli non abbia già"
Lc 17,5-10
In quel tempo, 5 gli apostoli dissero al Signore: 6 "Accresci in noi la fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: "Sràdicati e vai a piantarti nel mare", ed esso vi obbedirebbe. 7 Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: "Vieni subito e mettiti a tavola"? 8 Non gli dirà piuttosto: "Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu"? 9 Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10 Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare"".
Il Testo
1. La pericope biblica di Lc 17,5-10 e la corrispondente formula evangelica del Lezionario sono uguali. La Liturgia ha aggiunto il solito incipit "In quel tempo…". Il brano è composto da due pericopi. La prima (Lc 17,5-6) affronta il tema della fede, mentre la seconda (17,7-10) tocca un tema delicato per la fede: il merito.
2. In Lc 17,5-6 troviamo come interlocutori di Gesù gli "apostoli". In Lc 17,1 erano i "discepoli. Probabilmente nel grosso gruppo dei discepoli c’erano gli "apostoli" (quelli che Gesù manda in missione) oppure quelli che diventeranno il fondamento della Chiesa dopo la risurrezione del Maestro. La loro richiesta provoca la risposta di Gesù, che è sconcertante. La seconda parte della formula (Lc 17.7-10) è scandita da una immagine (Lc 17,7-9: Chi di voi…?) che viene successivamente trattata come un paragone (Lc17,10: Così anche voi).
L’Esegesi
1. Gli Apostoli avevano chiesto al Maestro di aumentare la loro fede. La risposta di Gesù desta sorpresa. Non è importante il volume della fede. È importante che la fede ci sia e che sia vera e operosa. Credere veramente significa entrare nella logica di Dio e a Dio tutto è possibile per la nostra salvezza.
2. La scena descritta in Lc 17,7-9 non deve stupirci. La vita del servo era così. Dopo aver lavorato, doveva servire il suo padrone e per questo non otteneva nessun tipo di riconoscimento perché non faceva altro che il suo dovere. Grave sarebbe stato se non lo avesse fatto. Dietro a questo concetto, espresso da Gesù, c’è il mondo teologico espresso dal Sal 50,8-12: "Non prenderò vitelli dalla tua casa né capri dai tuoi ovili. Sono mie tutte le bestie della foresta, animali a migliaia sui monti. Conosco tutti gli uccelli del cielo, è mio ciò che si muove nella campagna. Se avessi fame, non te lo direi: mio è il mondo e quanto contiene".
3. La traduzione italiana "Siamo servi inutili" sotto il profilo della traduzione letterale è corretta, ma non rispetta le regole della traduttologia e, tra questa in modo particolare il rispetto della pragmatica e della lingua di arrivo, Tutti comprendiamo che un servo che lavora durante il giorno e poi serve il padrone è "utile". Dire che è "inutile" sarebbe una mistificazione della realtà. Che valore ha, dunque, l’espressione greca "dùloi achrèiòi esmèn" (Siamo servi inutili)? Tenendo presente la pragmatica e la lingua di arrivo una traduzione possibile (non per equivalenze statiche, ma dinamico-funzionali) sarebbe "Siamo servi che non danno niente al padrone che egli non abbia già".
Il Contesto Liturgico
1. Nelle ultime domeniche le formule evangeliche del Lezionario hanno toccato il tema del rapporto che il cristiano deve avere con le ricchezze, il denaro e il potere. Con questa domenica il vangelo accompagnerà l’assemblea in un percorso di alcune tappe nell’esplorazione del tema della fede. La relazione di amore operoso con Dio (legame fiduciale) dà vita all’accoglienza delle verità che Egli ha voluto rivelare (adesione alle verità) e dei valori morali che Egli ha voluto proporre per il bene dell’uomo (adesione alle verità). Questa breve e incompleta definizione di fede può farci intuire la ricchezza dell’espressione del profeta Abcuc (1a lettura: Ab 1,2-3; 2,2-4): "Il giusto vivrà per la sua fede".
2. Abacuc vive in un momento delicato. L’impero assiro sta per tramontare e sta per emergere l’impero babilonese (fine del sec. VII a.C.). In questo clima tesissimo e caotico, il ricco pensava di salvarsi per la sua ricchezza, ma il profeta annuncia un’altra verità: "Soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede". L’espressione profetica è importantissima. Paolo la cita in Rm 1,17 (17 ("In esso [= vangelo di Gesù] infatti si rivela la giustizia di Dio, da fede [ebraica] a fede [cristiana], come sta scritto: Il giusto per fede vivrà"). Sappiamo che tale espressione creò nel sec. XVI un dibattito forte tra Lutero e la Chiesa cattolica. La discussione venne chiusa con il Concilio di Trento, dove la fede è dichiarata salvifica se è una fede fiduciale, operosa e accogliente la verità di Dio.
3. "La nostra ricompensa - dice Colletta propria nel fine della petizione - è la gioia di essere tuoi servi". Si tratta di un altro modo per esprimere il pensiero di Gesù, che è ripreso dall’embolismo del prefazio (Prefazio comune IV): "Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie; i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva…".
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