Commento al Vangelo
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Domenica 31 marzo, commento di don Renato De Zan

Tu dio accogli, perdoni e doni gioia: questo insegna la parabola del figliol prodigo

Parole chiave: Vangelo (126), Quaresima (19), Diocesi (190)
Domenica 31 marzo, commento di don Renato De Zan

Lc 15,1-3.11-32 (riassunto)
In quel tempo si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro". Ed egli disse loro questa parabola: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: "Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta". E il padre divise tra loro le sostanze. Il figlio più giovane partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze. Allora rientrò in se stesso e disse: "Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre". Si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il padre disse ai servi: "Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa". Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, udì la musica e le danze. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Gli rispose il padre: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato"".

Tematica liturgica
Nella fede dell’Antico Testamento c’era una convinzione: il male morale veniva castigato da Dio. Il processo, perciò, era molto semplice. Al peccato succedeva il castigo, al castigo la supplica, alla supplica la riconciliazione. Geremia è stato il primo profeta a comprendere che l’Antica Alleanza tra Dio e l’uomo meritava essere cambiata e parla di una "nuova alleanza" (Ger 31,31-34). In questa nuova alleanza tutti avrebbero fatto esperienza di Dio attraverso un nuovo processo: al peccato sarebbe subentrato subito il perdono. E il castigo? Il Deutero-Isaia, durante l’esilio babilonese, attraverso i carmi del Servo di Yhwh dà la risposta: il Servo si sarebbe caricato di tutti i peccati (passati, presenti e futuri) dell’uomo, avrebbe pagato espiato al posto dell’uomo cosicché all’uomo, dopo il peccato, fosse riservato non più il castigo, ma, attraverso il pentimento, il perdono. Il tema teologico del perdono, dopo il peccato, è un tema già presente nella storia della salvezza, prima di Geremia e del Deutero-Isaia. Già alle origini del popolo ebraico il Signore allontanò dagli ebrei "l’infamia di Egitto" (prima lettura, Gs 5,9-12), cioè la schiavitù che simboleggia la sudditanza ad ogni male. Nei tempi nuovi Dio ha riconciliato a sé "il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando" agli apostoli "la parola della riconciliazione" (seconda lettura, 2 Cor 5,17-21). Nella nuova alleanza, la riconciliazione con Dio viene celebrata e vissuta nel clima della gioia e della festa, come diceva il vecchio salmista: "Fammi sentire gioia e letizia…. Rendimi la gioia della tua salvezza…" (Sal 51,10-14). Il vangelo (Lc 15,1-3.11-32) presenta questa riflessione teologica attraverso un racconto che i più chiamano la parabola del padre buono o, secondo una vecchia dicitura, la parabola del figliol prodigo. La riconciliazione e la gioia, dunque, sono inseparabili. Non a caso la domenica odierna viene chiamata "Dominica Laetare" con le parole dell’Antifona d’ingresso: "Rallegrati Gerusalemme… Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza, saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione".

Dimensione letteraria
Il testo biblico originale (Lc 15,1-32) è composto da quattro elementi: una presentazione della scena (Lc 15,1-3), il paragone della pecora smarrita (Lc 15,4-7), il paragone della moneta per duta (Lc 15,8-10) e la parabola del padre buono (Lc 15,11-32). Gli studiosi ci dicono che originariamente, prima della stesura definitiva del vangelo, il brano era composto dalla presentazione della scena (Lc 15,1-3) e dalla parabola (Lc 15,11-32). A ben vedere, infatti, l’accusa degli scribi e dei farisei a Gesù riguardava l’accogliere i peccatori e mangiare con loro. Questi due elementi tematico ricompaiono nella parabola del padre buono, non nei due paragoni dove la linea tematica è "perdere-cercare-trovare-fare festa". La Liturgia, dunque, sceglie il testo primitivo (Lc 15,1-3.11-32), aggiungendo al testo biblico l’incipit liturgico ("In quel tempo").

Riflessione biblico-liturgica
a. Abituati alla lettura allegorica della parabola (concessa, in parte, dalla lettura integrale di Lc 15,1-32), ci costa un po’ nella lettura odierna (Lc 15,1-3.11-32) identificare il padre della parabola con Gesù. Questa, però, oggi è la lettura corretta della parabola a livello arcaico. Quello che fa il padre della parabola, lo fa Gesù con i peccatori e i pubblicani. Se viene approvato il comportamento del padre, come può essere contestato il comportamento di Gesù?
b. L’ottica più corretta con cui leggere liturgicamente il vangelo non è soffermarsi sul lavorio interiore del figlio (comunque importante). E’ più importante vedere come il padre accolga il figlio: gli corse incontro, gli si gettò al collo, lo baciò, lo rivestì del vestito più bello, gli fece mettere al dito l’anello e i calzari e organizzò la festa.

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