Domenica 2 maggio, commento di don Renato De Zan
Il Padre è l'agricoltore, Gesù la vite, il discepolo il tralcio
02.05.2021 5a domenica di Pasqua
Gv 15,1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 1 «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.
5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Il Padre è l’agricoltore, Gesù la vite, il discepolo il tralcio
Tematica liturgico-biblica
Domenica scorsa, per rivelare se stesso e la propria missione, Gesù ha adoperato l’immagine del pastore. Questa domenica Gesù adopera l’immagine della vite, dove il Padre adempie il compito del vignaiolo e il discepoli appaiono come il tralcio della vite. Nel mondo veterotestamentario, la vite era stata scelta come simbolo della pace, della felicità e, soprattutto, della benevolenza di Dio verso il suo popolo. La distruzione della vite era segno di una calamità disastrosa (cf Sal 80,8-16; Ez 19,10-14). I profeti, a loro volta, avevano fatto scivolare il simbolo della vite (pace, felicità, benevolenza divina sulla terra) a simbolo della felicità e della pace escatologica. Gesù, dunque, autorivelandosi come “la vite vera”, dice di essere la vera pace, la vera felicità e la benedizione divina per l’uomo in questo mondo, ma di essere anche, nella storia, l’anticipo delle realtà future (il Regno). L’immagine è molto ricca, ma si può semplificare dicendo che Gesù ha voluto imperniarla su due cardini: “rimanere in Lui” e “portare frutto”.
Il tema del “rimanere in Lui” si articola in due punti. Come il tralcio rimane unito alla vite, così il discepolo rimane unito a Gesù. Ciò significa che le “parole” del Maestro rimangono nel discepolo (v. 4: “io in voi” / v. 7: “la mie parole rimangono in voi”). L’unione con Gesù avviene attraverso le sue parole che, una volta ascoltate, diventano tutt’uno con il discepolo. Si tratta di parole che purificano l’uomo (“Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”): questa è la “potatura” del Padre. Il frutto, poi, che queste parole di Gesù portano, è specificato alla fine del brano: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Essere discepoli è il frutto prodotto dall’unione con Gesù. La riflessione sembra molto astratta, ma non lo è proprio. Se le parole di Gesù abitano il discepolo, in esse il discepolo trova la risposta alla semplice domanda che ogni discepolo è chiamata a porsi: “Cristo, al posto mio, cosa penserebbe, come giudicherebbe, cosa deciderebbe, come si comporterebbe?”.
Dimensione letteraria
Il discorso di Gesù nell’ultima cena è molto lungo (Gv 13,12-17,26). C’è una parte dedicata a illustrare la propria identità con un’immagine: la vite. Si tratta di Gv 15,1-17. Il brano è incluso da due espressioni: “Padre” (v.1 / v. 16) e “portare frutto” (v. 2 / v. 16). Da questo brano è tratto il vangelo odierno, Gv 15,1-8 (delimitato, nei vv. 1.8, dalle espressioni “Padre mio” e “portare frutto”). La Liturgia ha aggiunto l’incipit: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:”.
Il brano è cadenzato in due unità, ambedue aperte da due espressioni quasi uguali: “Io sono la vera vite” (v.1) e “Io sono la vite “ (v. 5). Nella prima parte del brano (Gv 15,1-4) il testo insiste sul tralcio “purificato” (la traduzione “potato” potrebbe essere fuorviante) che solo unito alla vite porta frutto. Nella seconda parte viene svelato quale sia il frutto: essere discepoli di Gesù.
Riflessione biblico-liturgica
a. Il testo greco per “potare” adopera il termine “kathàiro” che significa “purificare”. Il Padre “pota-purifica” i tralci attraverso la Parola del Figlio. La purificazione-potatura, dunque, non avviene tramite sacrifici o opere di sofferenza, ma attraverso l’ascolto della Parola e la conseguente messa in pratica (cf Lc 11,28: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!”). La Parola di Cristo non è solo messaggio concettuale, ma è “spirito e vita” (cf Gv 6,6).
b. La Parola di Gesù è prima di tutto lui stesso. Egli è il Verbo (cf Gv 1,1). La sua Parola, poi, sono tutte le sue azioni e tutto ciò che egli ha detto. La Parola che “rimane” nel discepolo è tutto ciò che Cristo è, fa e dice.
c. Chi non porta frutto (non discepolo di Cristo) non è considerato vivo e perciò il Padre lo taglia e lo getta nel fuoco (v. 6). Chi è il discepolo che si separa da Cristo ? Stando alla teologia giovannea sembra che si tratti dell’apostata e di colui che commette il peccato per la morte (cfr 1 Gv 5,16).
d. “Portare frutti” non è semplicemente “compiere un’opera buona”. Significa essere discepoli di Gesù. Si è discepoli per tutta la vita. La meta non si raggiunge, ma la si persegue continuamente. Saremo come Lui quando lo vedremo così come Egli è (cf 1 Gv 3,2).
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