Commento al Vangelo
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Domenica 2 giugno, Ascensione, commento di don Renato De Zan

L'Ascensione non è separazione ma nuova forma di presenza

Parole chiave: Ascensione (4), Vangelo (126), Domenica (46), Diocesi (190)
Domenica 2 giugno, Ascensione, commento di don Renato De Zan

Lc 24,46-53
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto". Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio

Tematica liturgica
I testi biblici che narrano in modo esplicito l’ascensione sono tre: Mc 16,19; Lc 24,50-53; At 1,9-11. Il testo di Marco, appartenendo alla finale canonica (ispirata) ma non autentica (non scritta da Marco), è un testo copiato da Luca. Gli altri due testi, di Luca e di Atti, sono dello stesso autore. Negli Atti degli Apostoli si parla di una permanenza di Gesù Risorto con i suoi per un tempo di quaranta giorni prima di ascendere in cielo. Il racconto evangelico di Luca, invece, presenta l’Ascensione come realtà che avviene, con ogni probabilità, nella stessa sera del giorno della Risurrezione. L’autore adopera due concezioni del tempo. Nel racconto evangelico ci troviamo davanti al concetto di eone nuovo: il tempo è visto come già invaso dall’eterno (con la risurrezione di Gesù l’eterno è entrato nella storia, la fine del tempo è già incominciata). Nel racconto del libro degli Atti, invece, abbiamo a che fare con il criterio di tempo simbolico: quaranta erano i giorni necessari perché - secondo il pensiero rabbinico - il discepolo imparasse bene la lezione del maestro. In nessuno dei due casi, dunque, ci troviamo di fronte al concetto di tempo cronologico. Il valore teologico dell’Ascensione è molteplice. Gesù completa la rivelazione di sé: benedicendo (azione sacra riservata ai sacerdoti), manifesta il suo sacerdozio. Egli è il "sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del trono della maestà nei cieli" (Eb 8,1). Gesù, il Verbo di Dio, ritorna nella situazione preesistente alla sua incarnazione. In Gesù asceso al cielo la natura umana è assisa accanto a Dio. La Chiesa, su mandato del Maestro, continua la missione di Gesù. Infine, Gesù, che aveva promesso di essere con i suoi fino alla fine del mondo, con l’Ascensione inizia un nuovo modo di essere presente tra i suoi e nella storia.

Dimensione letteraria
Il testo biblico di Lc 24,46-53 dice: "Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro…". La Liturgia semplifica il testo e dice: "In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:…". Mentre il testo originale spiega come i discepoli di Gesù avessero la mente chiusa e incapace di comprendere ciò che era accaduto, ciò che stava accadendo e ciò che stava per accadere (Mistero Pasquale), il ritocco liturgico non esprime nessun giudizio sui discepoli e toglie il tema di Gesù Maestro che apre la mente ai suoi, concentrando l’attenzione su due grandi temi: la missione e l’Ascensione. Gesù illustra la missione (Lc 24,46-49) toccando tre temi fondamentali: la Scrittura ("sta scritto") aveva profetizzato il Mistero Pasquale (la morte e la resurrezione) e la relativa predicazione; i discepoli, che sono testimoni, sono i ministri della predicazione; nella predicazione i discepoli saranno accompagnati dallo Spirito, donato dal Padre. L’evangelista narra il fatto dell’Ascensione (Lc 24,50-53) attraverso quattro piccoli medaglioni: l’uscita da Gerusalemme, la benedizione sacerdotale di Gesù, l’Ascensione stessa e l’adorazione (si prostrarono davanti a lui) dei discepoli che riprendono la vita di ogni giorno gioiosi e accomunati dalla frequentazione del "tempio".

Riflessione biblico-liturgica
a. Sta scritto: la missione dei discepoli nasce da un momento di profonda comprensione della Scrittura per entrare dentro al Mistero Pasquale di Gesù, di cui anch’essi fanno parte. La missione non può essere frutto della pura volontà umana. E’ necessario il dono dello Spirito che guidi alla comprensione della Scrittura per fare proprio il Mistero di Gesù. Nessun apostolato può prescindere da questa legge suprema.
b. L’apostolato ha come obiettivo "la conversione e il perdono dei peccati". Per conversione si intende cambiare modo di pensare. Mettere da parte il proprio e acquisire il modo di pensare di Gesù è il primo obiettivo della missione dei discepoli. Il secondo è il perdono dei peccati. Lungo la storia la Chiesa ha saputo rimodellare di epoca in epoca il modo di rimettere i peccati con il sacramento della riconciliazione. Purtroppo sono stati messi in ombra due altri modi con cui Dio perdona. In 1Pt 4,8, lo scrittore sacro dice: "Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati". In Gc 5,20 è scritto: "Costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore lo salverà dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati".
c. La predicazione della conversione-perdono non è un annuncio intellettuale (trasmissione di concetti), ma prende la forma della testimonianza ("Di questo mi sarete testimoni"). Umanamente tutto questo non è possibile. Sono necessari il sostegno e la comprensione donate dallo Spirito che sta per venire (Pentecoste).

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