Commento al Vangelo
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Domenica 13 ottobre, comemnto di don Renato De Zan

Quanto costa dire grazie a Dio e agli uomini! Il vangelo di questa settimana racconta la storia del lebbroso guarito

Parole chiave: Lebbroso (1), Vangelo (131), Diocesi (193)
Domenica 13 ottobre, comemnto di don Renato De Zan

Lc 17,11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse loro: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?". E gli disse: "Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!".

Tematica liturgica
La legge mosaica prescriveva che il lebbroso stesse fuori dall’accampamento, si velasse fino al labbro superiore, avesse vesti strappate e, se si avvicinava all’accampamento, doveva gridare "Immondo, immondo io sono" (cfr Lv 13,46). Il lebbroso, infatti, era considerato un morto che respirava e capace di contaminare i sani. Era emarginato e disprezzato: disprezzato perché "castigato da Dio" con la malattia; emarginato perché "solo" e pieno di morte. Guarire un lebbroso non era solo un atto terapeutico. Era un atto divino. Guarire il lebbroso significava donare il perdono del peccato che - nella mentalità ebraica - aveva generato la malattia, significava reintegrarlo nella pienezza della vita che solo Dio possiede e può donare. Guarire un lebbroso significava "risorgerlo" e, ultimo ma non meno importante, significava reinserirlo nella dinamica dei rapporti che la vita sociale e cultuale comportavano.
Il gesto compiuto da Gesù, dunque, è pieno di significato. Egli, guarendo, perdona i peccati: quindi è Dio (perché solo Dio può perdonare i peccati: cfr Mc 2,7). Egli dona la "risurrezione" e reintegra queste persone sia socialmente sia religiosamente. Il miracolo compiuto da Gesù è, dunque, una teofania, un perdono, una risurrezione, una guarigione La risposta dei beneficati? Ci aspetteremmo almeno un ringraziamento corale. Niente di tutto questo. Non c’è la coralità. La malattia aveva unito ebrei e samaritani. Sappiamo che tra loro c’era una profonda inimicizia. Eppure la sofferenza li faceva vivere insieme. La guarigione li separa nuovamente non a causa della loro etnia, ma li separa a causa della diversa sensibilità umana. Sia gli ebrei che i samaritani guariti erano tenuti ad andare dal sacerdote per garantire la loro guarigione. Uno però va oltre la legge e fa emergere l’umanità più nobile. Un samaritano fa emergere dal suo mondo interiore la riconoscenza e la manifesta. Torna indietro e ringrazia. Ieri come oggi, la riconoscenza è una virtù rara. Per il passato possiamo indagare sul libro dei Salmi: le lamentazioni e le suppliche sono molto più numerose dei salmi di ringraziamento. Per l’oggi, penso sia sufficiente l’esperienza personale. La persona, incapace di riconoscenza, è destinata a vivere in un’insoddisfazione continua. Non sempre, non sempre subito e non sempre qui possono essere esauditi (da chi?) tutti i suoi veri o presunti diritti. Inoltre, farà terra bruciata attorno a sé perché non sarà rispettosa dei diritti altrui perché difficilmente riconosce i propri doveri.

Dimensione letteraria
Il testo biblico e il testo biblico-liturgico di Lc 17,11-19 sono uguali. Non ci sono né ritocchi né aggiunte né riduzioni. La narrazione segue il criterio della rastremazione. Si inizia con un orizzonte geografico ampio ("Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea"), poi si restringe ("Entrando in un villaggio") fino ad arrivare a un dialogo con alcune persone ("gli vennero incontro dieci lebbrosi") e a focalizzare l’attenzione su una persona davanti a Gesù ("Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo"). Questa scelta narrativa guida l’attenzione del lettore/ascoltatore a considerare il miracolo, senza troppo soffermarsi, e a dare attenzione
Alla  riconoscenza del samaritano. Il miracolo, infatti, fa da preambolo alla scena del ringraziamento.
Sotto il profilo letterario il testo si può dividere in tre unità: sommario del viaggio di Gesù verso Gerusalemme (Lc 17,11-12a); i lebbrosi che "vanno incontro" a Gesù e che "se ne vanno", diventando risanati (Lc 17,12b-14) il ringraziamento del lebbroso samaritano guarito e le parole di Gesù sulla riconoscenza e sulla fede (Lc 17,15-19).

Riflessioni biblico-liturgiche
a. Ai tempi di Gesù, la gente riteneva che solo alcuni rabbini, ritenuti saggi e santi, potevano avere il potere taumaturgico di guarire (anche la lebbra?). Gesù è ritenuto dalla gente un rabbino saggio e santo. Per questo motivo lebbrosi lo pregano così: "Gesù, maestro, abbi pietà di noi!"). E’ uno dei tratti più arcaici del racconto (può risalire al Gesù storico).
b. Nel mondo biblico si esprime la riconoscenza "lodando Dio", o "rendendo gloria a Dio". Queste espressioni indicavano un fatto: il soggetto riconoscente raccontava in pubblico, ad alta voce, la cosa positiva che gli era accaduta. Questo era il modo per dire grazie. Il grazie era una testimonianza pubblica.

Domenica 13 ottobre, comemnto di don Renato De Zan
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