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Maternità surrogata: non è un lavoro a tempo determinato

Ora il dibattito si riaccende: da un lato, il desiderio di diventare genitori, dall’altro il doveroso doppio rispetto da portare: sia ai nascituri sia alle madri che portano nel proprio grembo la gravidanza. Entrambi protagonisti di una storia nella quale pare invece avere la precedenza il raggiungimento (a tutti i costi?) di una meta: stringere un figlio tra le braccia.

Parole chiave: Gpa (2), Cassazione (1), Diritto (2), Figlio (1), Maternità surrogata (3)
Maternità surrogata: non è un lavoro a tempo determinato

La rete regala abbondanti risposte alla domanda di “gestazione per altri” o “maternità surrogata”: si trovano in fretta siti di agenzie che propongono senza nascondimenti come realizzare il proprio desiderio di genitorialità. Vi si leggono i Paesi di provenienza della “madre surrogata” (la donna nel cui grembo verrà impiantato l’embrione), il preventivo dei costi dell’operazione (variabili a seconda dello standard economico del paese della madre: dai 50 ai 120 mila euro), tutte le informazioni necessarie (legali e mediche) per realizzare il desiderio, ma potremo dire per concludere l’affare, dato che così viene trattato anche se le immagini di culle rosa e azzurre addolciscono – e confondono – la realtà concreta delle cose.

In Italia la “gestazione per altri” (Gpa), detta anche “utero in affitto”, non è permessa. I detti siti sono di fatto un escamotage per aggirare la legge: se in Italia non è possibile accedere alla Gpa, basta rivolgersi ad un’agenzia con sede all’estero (Russia, Ucraina, Albania ma anche Canada e Stati Uniti…) e il gioco è fatto.

Alla “gestazione per altri” accedono spesso coppie omosessuali maschili. Le coppie omosessuali femminili possono scegliere la procreazione medicalmente assistita (Pma), che in linea di principio può permettere ad entrambe le donne della coppia di diventare “madre biologica” del nascituro (una può mettere a disposizione l’ovulo da fecondare, l’altra può portare in grembo la gravidanza).

Sono molte anche le coppie eterosessuali che per diversi motivi (infertilità, età avanzata…) arrivano alla gestazione per altri”: si stima siano l’80-90% dei casi di surrogata relativi agli italiani. La Gpa non si configura quindi come un fenomeno di solo appannaggio del mondo omosessuale (maschile) ma anche di quello eterosessuale.

La “Gravidanza per altri” pone almeno due ordini di problemi. Uno è universale e riguarda l’eticità della “gestazione per altri” in sé; l’altro è soprattutto italiano e riguarda il riconoscimento giuridico dei bambini nati all’estero. In alcuni Paesi esteri, infatti, non c’è difficoltà a riconoscere il nascituro come figlio di due padri, mentre in Italia questo non è consentito: ad oggi si riconosce la “paternità” a uno dei due uomini della coppia (colui che ha fornito il proprio patrimonio genetico), mentre per l’altro si avvia (eventualmente) la strada dell’adozione.

Questo secondo ambito della questione, ovvero il riconoscimento dei figli ottenuti tramite Gpa all’estero, trova fronti divisi nel nostro Paese tra chi è decisamente contrario e chi è a favore o possibilista (all’insegna del “vivi e lascia vivere”). Sono tra primi i cattolici e le forze dell’attuale governo, tanto è vero che il ministro Piantedosi a gennaio 2023, basandosi su una sentenza della Cassazione, ha inviato ai Prefetti una circolare per vietare la trascrizione automatica dei figli nati all’estero tramite Gpa. Tuttavia, chi è nel territorio si trova a dover decidere e diversi sindaci (trai cui quello di Milano, Beppe Sala) hanno acconsentito alla richiesta di registrare nelle anagrafi comunali i bambini così nati all’estero, in nome della non discriminazione tra nati e nati.

Il risultato è un gran guazzabuglio legale e sentimentale. Il dibattito pubblico innescato dalla circolare di Piantedosi potrebbe ora ripartire dato che, da lunedì 19 giugno, andrà in discussione la proposta di legge che vuole fare dell’utero in affitto un reato universale.

Tra slogan e schieramenti ideologici un duplice punto fermo resta quello messo dalla citata sentenza delle Sezioni unite della Cassazione (n. 38.162, del 30 dicembre 2022), alla quale è seguita la circolare di gennaio del ministro dell’Interno.

La sentenza della (laica) Cassazione ribadisce, innanzitutto, in modo molto netto che la maternità surrogata, anche là dove avvenga in forma gratuita o come anche si definisce “compassionevole”, è sempre da considerarsi una pratica “che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Su questo le forze politiche in Italia sembrano d’accordo, anche se il fronte pare si stia un po’ alla volta sfrangiando. Ora, se la Gpa in Italia è considerata alla stregua di un reato, il riconoscimento del provvedimento straniero – afferma la Cassazione – “finirebbe per legittimare in maniera indiretta e surrettizia una pratica degradante”. Detto altrimenti, la trascrizione automatica finirebbe per far passare l’idea che la Gpa in Italia è una pratica non ammessa ma tollerata, dato che la registrazione post facto la sdogana. Per dirla con un proverbio: fatta la legge, trovato l’inganno.

In secondo luogo, la sentenza della Cassazione prende posizione sul fatto che diventare genitori non è una scelta discrezionale degli adulti, ma richiede un qualche vincolo tra gli adulti medesimi e il nascituro. In altri termini, non basta “sentirsi o desiderarsi genitore” perché automaticamente lo si diventi anche dal punto di vista giuridico (“genitore d’intenzione”). Nella procreazione non è in gioco solo il desiderio di due adulti di diventare genitori ma anche il “preminente interesse del bambino” che deve essere rispettato e collocato all’interno di un reale e verificabile rapporto di cura e di affettività.

Altrettanto importante – aggiungiamo – e alquanto trascurato risulta il ruolo della donna che porta in grembo il nascituro dal quale dovrà staccarsi non solo per naturale nascita ma anche per economico patto. Anche se non geneticamente suo, quel figlio ha palpitato con lei, respirato con lei, si è nutrito da e con lei per nove mesi: e questo è difficile da intendere come un lavoro “pagabile”. L’essere madre (anche surrogata) non può essere un lavoro a tempo determinato.

La materia in oggetto va dunque normata in modo puntuale per non lasciare vuoti giuridici in un campo tanto delicato e complesso. Importanti rimangono i principi ribaditi dalla Cassazione: che si tenga conto in modo centrale del “preminente interesse del nascituro” e che resti confermato il giudizio negativo sulla Gpa. Se poi sia reato “universale”, saranno gli esperti a decidere dato che, là dove già ammessa, la pratica resterebbe e resterà ammessa.

Ora il dibattito si riaccende: da un lato, il desiderio di diventare genitori, dall’altro il doveroso doppio rispetto da portare: sia ai nascituri sia alle madri che portano nel proprio grembo la gravidanza. Entrambi protagonisti di una storia nella quale pare invece avere la precedenza il raggiungimento (a tutti i costi?) di una meta: stringere un figlio tra le braccia.

Maternità surrogata: non è un lavoro a tempo determinato
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