L'Editoriale
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Giulio Regeni: verità negata

Impossibile procedere: l’astuzia dello stato egiziano, facendo leva sul garantismo della giustizia italiana, tiene fuori dal tribunale i quattro sospettati del sequestro, delle torture e dell’omicidio del ricercatore friulano scomparso e trovato poi brutalmente ucciso a Il Cairo nel gennaio-febbraio 2016. Un paradosso bello e buono, una beffa per la famiglia e per l’Italia, eppure così è secondo giustizia.

Parole chiave: Processo (1), Giulio Regeni (3), Egitto (3), Verità (6)
Giulio Regeni: verità negata

Impossibile procedere: l’astuzia dello stato egiziano, facendo leva sul garantismo della giustizia italiana, tiene fuori dal tribunale i quattro sospettati del sequestro, delle torture e dell’omicidio del ricercatore friulano scomparso e trovato poi brutalmente ucciso a Il Cairo nel gennaio-febbraio 2016. Un paradosso bello e buono, una beffa per la famiglia e per l’Italia, eppure così è secondo giustizia.

Ecco come si sono svolti i fatti che calano il sipario sul caso Regeni. La sentenza della Corte di Cassazione di venerdì 15 luglio, non accogliendo il ricorso della famiglia, ha confermato quanto stabilito dal gup l’11 aprile: l’impossibilità di procedere e portare a processo i presunti colpevoli dal momento che non è stato possibile far pervenire agli stessi le notifiche del procedimento in corso a loro a carico. Decisione a cui la famiglia aveva fatto ricorso, mirando a dimostrare che i quattro non siano che dei falsi inconsapevoli. La tesi non è stata però accolta venendo a mancare, secondo la Cassazione, la “prova certa” della consapevolezza dei presunti rei.

Tutto è nato dal fatto che le autorità egiziane non hanno mai comunicato gli indirizzi degli accusati: quattro funzionari della National security. Questa mossa ha di fatto impedito di recapitare agli stessi le notifiche del processo: una strategia vincente, che si è trasformata in uno scudo di Stato capace di bloccare il percorso giudiziario e ha reso gli agenti intoccabili. L’Egitto ha abilmente sfruttato a proprio vantaggio il garantismo della legge italiana, sfuggendo così alla giustizia. Paradossale e reale insieme.

Molti speravano che la tesi della famiglia venisse creduta riaprendo la strada al processo, ma la sentenza della settimana scorsa ha confermato che senza la consegna della notifica il processo è sospeso sine die.

Si è in uno stallo, nel quale il diritto sembra aver tutelato i carnefici più che la vittima. Quanto sia inaccettabile dalla famiglia – alla quale al momento non resta che rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo - è facile immaginare. Alessandra Ballerini, avvocata dei Regeni, prima ancora che la Corte di Cassazione pronunciasse la sua sentenza togliendo ogni speranza di ulteriori sviluppi, ha dichiarato: “Non ci sarà mai una pietra tombale su questo caso perché noi qui ci saremo sempre. Quella che viene presa è una decisione che riguarda la dignità dell’Italia”. Il che non è fuori luogo e per molteplici ragioni.

Innanzitutto, perché ha vinto l’Egitto col suo non collaborare con la giustizia, quando invece sarebbe stato importante arrivare a un processo per avere almeno la possibilità di cercare la verità. Quella “Verità per Giulio Regeni” che tanti striscioni gialli, sia pure sbiaditi, ancora invocano da molti dei nostri paesi. Una verità necessaria non tanto a lenire il dolore dei genitori – nessuna sentenza sarà mai in grado di farlo – quanto a fornire almeno la possibilità di provare a fare giustizia, cercando una verità come atto dovuto a Giulio, alla famiglia, all’Italia come Stato garante del diritto, indispensabile come deterrenza dalle atrocità commesse.

Quella per Giulio è una verità che dobbiamo avere tutti a cuore: per lui e per ciascuno di noi, se vogliamo ancora poter credere in un sistema giudiziario che difende i deboli contro i prepotenti e gli assassini.

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