Pordenone: Messa Crismale in San Marco con il Vescovo Pellegrini e i sacerdoti diocesani
Nella messa crismale di giovedì santo 6 aprile il Vescovo Pellegrini ha benedetto gli olii che poi verranno usati nel corso dell'anno per i sacramenti; quest'anno gli olii che vengono consacrati in tutte e diocesi italiane sono stati donati e provengono tutti dai luoghi della strage di Capaci.
Nel cuore di questa Messa crismale si erge la figura di Gesù, l’unto e il consacrato del Padre che nella sinagoga di Nazareth, applicando a sé il testo del profeta Isaia, ci aiuta a comprendere ancora meglio la sua vocazione e missione, dove l’unzione con la potenza dello Spirito del Signore ha come scopo mandare l’unto di Dio ad annunciare il lieto messaggio e predicare la misericordia, riscattando il popolo e facendolo diventare il popolo di Dio, non più oppresso dalla schiavitù del peccato e di Satana. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore” (Luca 4,18-19). L’unzione profetica è il segno della presenza di Dio nel suo inviato che è consacrato, unto (in ebraico Messia) per portare consolazione, speranza e gioia ad una umanità segnata da dolori, prove e sofferenze. L’umanità di Gesù, mediante l’unità del Figlio con il Padre, è inserita nella comunione con lo Spirito Santo. Ciò che nei re e nei sacerdoti dell’Antica Alleanza era avvenuto in modo simbolico, nell’unzione con l’olio, con la quale venivano istituiti nel loro ministero, avviene in Gesù in tutta la sua realtà. Da questa unzione è scaturita l’azione salvifica e il programma di vita del Cristo. La sua missione è universale perché abbraccia tutti gli uomini e le donne e tutta la storia del mondo, come ci ricorda bene l’inizio della Veglia pasquale: “Cristo ieri e oggi, principio e fine, Alfa e Omega. A lui appartengono il tempo e i secoli”. L’orizzonte di salvezza che Gesù ci porta, viene ulteriormente rappresentato dalla pagina dell’Apocalisse che lo definisce: “Il testimone fedele, il primogenito dei morti e il salvatore dei re della terra” (1,5).
L’unzione dello Spirito non si ferma, però, alla persona di Gesù ma viene comunicata ad ogni cristiano, a tutti coloro che vogliono mettersi alla sua sequela. Gesù, ci ricorda sempre l’Apocalisse, “ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” (6). Chi entra in comunione con Cristo, mediante l’unzione dello Spirito, diventa partecipe della sua regalità e del suo sacerdozio, cioè della possibilità di dare forma, insieme con lui, ad un popolo sacerdotale mediante il comandamento dell’amore, legando le sorti dell’umanità e del mondo all’unica sorgente di vita: Dio Padre. Quanto più siamo uniti a Cristo, tanto più veniamo colmati dal suo Spirito Santo. Isidoro di Siviglia affermava che “tutta intera la Chiesa è consacrata con l’unzione del crisma, perché essa è membro dell’eterno re e sacerdote”, tanto è vero che senza l’unzione ‘non possiamo chiamarci cristiani’. Ognuno di noi, pertanto, deve sentire così forte la consapevolezza dell’essere unto, da tradurlo come gesto nella vita: i vescovi e presbiteri attraverso il sacerdozio ministeriale, i consacrati e laici attraverso il sacerdozio battesimale. Abbiamo da poco ricordato e ringraziato il Signore per i 10 anni di pontificato di papa Francesco. Vi invito a rileggere con attenzione la sua prima omelia della Messa del Crisma, il 28 marzo 2013 (omelia che riporto nel libretto che vi verrà consegnato alla fine della celebrazione). All’inizio il papa ricordava che l’unzione ricevuta “è destinata ad ungere il popolo fedele di Dio, di cui sono servitori… L’immagine dell’olio che si sparge, che scende dalla barba di Aronne fino all’orlo delle sue vesti sacre, è immagine dell’unzione sacerdotale che per mezzo dell’Unto giunge fino ai confini dell’universo rappresentato nelle vesti”. Unzione che giunge a noi tramite i sacramenti che “sono espressione della corporeità della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l’uomo intero” (Benedetto XVI, omelia Messa Chrismatis 2011) e che trovano negli Oli, che oggi vengono benedetti un segno espressivo della grazia divina.
La liturgia odierna pone al centro la benedizione degli Oli sacri: l’olio per l’unzione dei catecumeni, quello per l’unzione degli infermi e il Crisma per i sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Ordine sacro, nel grado del presbiterato e dell’episcopato, che imprimono il carattere, sigillo spirituale che è promessa e garanzia della forza dello Spirito Santo. L’olio fin dall’antichità è sempre stato fonte di ricchezza perché necessario per diversi usi: la preparazione degli alimenti, l’illuminazione, la confezione di profumi e unguenti e nel campo medico. La piacevole e tonificante azione che l’olio esercita sul corpo, quando col massaggio ne penetra i tessuti, ravviva il significato profondo che, nel linguaggio biblico e liturgico dei segni, l’unzione sacramentale esprime. L’olio, pertanto, è presente nella liturgia come segno privilegiato dell’agire di Dio ed è il simbolo più comune dello Spirito Santo che da vigore alle membra e abilita ‘energicamente’ il cristiano a compiere la volontà del Padre, come Gesù, l’unto di Dio. Il rito della benedizione degli oli è fondato sul potere sanante dell’olio che tonifica, unge e guarisce. Questi tre oli esprimono alcune dimensioni essenziali della vita cristiana. Il significato che la liturgia attribuisce agli oli nelle preghiere di benedizione, ci aiuta a comprendere la missione che lo Spirito Santo con l’unzione dona a chi li riceve. Con l’Olio degli infermi abbiamo davanti a noi la schiera di tante persone sofferenti: gli ammalati che sono nelle famiglie o nelle corsie degli ospedali, le vittime della violenza delle guerre, i perseguitati politici o per fede, le vittime di ogni forma di abuso. Queste sofferenze pesano sui nostri cuori e sulle nostre responsabilità, cominciando dagli eccidi che accadono sempre più di frequente, in particolare in questa inutile guerra tra Russia e Ucraina, senza dimenticare i poveri e i migranti che fatichiamo ad accogliere e a sentire nostri fratelli. “O Dio, Padre di ogni consolazione – recita la preghiera di benedizione – effondi la tua santa benedizione perché quanti riceveranno l’unzione ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito e siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore”. Saremo portatori di unzione per i sofferenti se saremo capaci di presenza, di vicinanza, di cura e di compassione. Le parole della benedizione dell’Olio dei catecumeni aggiungono ulteriori elementi alla nostra missione di strumenti dell’unzione per la salvezza dell’umanità. “O Dio … concedi energia e vigore ai catecumeni che ne riceveranno l’unzione, perché illuminati dalla tua sapienza, comprendano più profondamente il Vangelo di Cristo; sostenuti dalla tua potenza, assumano con generosità gli impegni della vita cristiana”. L’unzione che precede il Battesimo, sta a dire che non solo l’uomo cerca Dio ma che Dio stesso si è messo alla ricerca dell’uomo. È un primo modo di essere toccati da Cristo e dal suo Spirito. Questo ci ricorda che anche noi credenti siamo chiamati a volgere il nostro sguardo a quanti si mettono in cammino e sono alla ricerca della fede e di Dio, perché Dio viene incontro all’inquietudine del cuore. Il fatto che Dio stesso si sia incarnato nel suo Figlio ci dice quanto Lui ci ama e desidera il nostro bene e la nostra felicità.
C’è infine la benedizione dell’olio più importante, il Crisma, mistura di olio di oliva con profumi vegetali. È l’olio dell’unzione sacerdotale e regale che si collega alle grandi tradizioni dell’antica Alleanza. Nella Chiesa quest’olio viene utilizzato nelle unzioni del Battesimo, della Confermazione e nell’ordinazione dei presbiteri e dei vescovi. Una consacrazione che dona lo Spirito Santo e che designa la dimensione battesimale e quella ministeriale. Così pregheremo tutti insieme: “Ora ti preghiamo, o Padre: santifica con la tua benedizione quest’olio, dono della tua provvidenza; impregnalo della forza del tuo Spirito. … Olio che consacra i sacerdoti, i re, i profeti e i martiri. Confermalo come segno sacramentale di salvezza e vita perfetta per i tuoi figli rinnovati nel lavacro spirituale del Battesimo”. Dio sul Sinai, tramite Mosè, aveva fatto una promessa al suo popolo: “Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Esodo 19,6), abilitandolo, così, a portare l’umanità intera a Lui. San Pietro, nella sua catechesi battesimale, ha allargato la missione che Dio aveva affidato al suo popolo all’intera comunità dei battezzati: “Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa” (1Pietro 2,9). Battesimo e Confermazione costituiscono l’ingresso in questo popolo di Dio che abbraccia tutto il mondo. I cristiani, con la forza dello Spirito Santo ricevuto con l’unzione del Crisma, sono chiamati a rendere visibile Dio, ad annunciarlo e a condurre tutta l’umanità a Lui. In virtù del Crisma, noi popolo di Dio, siamo uniti per far conoscere il desiderio di Gesù: “Perché tutti siano una sola cosa; come tu Padre sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Giovanni 17,21). All’interno della famiglia umana, lacerata da individualismi, violenze e guerre, ci affida “il compito di edificare comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci di riflettere lo splendore della Trinità e di evangelizzare non solo con le parole, ma con la forza dell’amore di Dio che abita in noi” (Papa Francesco, Angelus 31 maggio 2015).
Anche noi ministri ordinati, siamo stati unti e consacrati con il Crisma nel giorno della nostra Ordinazione. Il Giovedì Santo è in modo particolare il ‘nostro giorno’. Gesù nell’Ultima Cena, la sera di quel giorno, ha istituito il sacerdozio neotestamentario, pregando il Padre per i discepoli di tutti i tempi. Siamo qui a ringraziare il Signore per la chiamata e a rinnovare davanti a tutta la Chiesa le promesse fatte nel giorno della nostra ordinazione. Questa celebrazione è per me anche un’opportunità per stare con voi, fratelli presbiteri, e per riflettere insieme sul grande dono che il Signore ci ha fatto. Siamo uniti nel vincolo sacramentale dell’Ordine sacro che ci invia a servire il popolo santo di Dio. Significativo un passaggio dell’omelia di papa Francesco nella Messa crismale del 2019: “Non dobbiamo dimenticare che i nostri modelli evangelici sono questa ‘gente’, questa folla con questi volti concreti, che l’unzione del Signore rialza e vivifica. Essi sono coloro che completano e rendono reale l’unzione dello Spirito in noi, che siamo stati unti per ungere. Siamo stati presi in mezzo a loro e senza timore ci possiamo identificare con questa gente semplice”. Noi siamo mandati, in Spirito Santo e potenza, come unti del Signore, come strumenti dell’Unto per eccellenza per edificare il popolo sacerdotale. “Quanto a noi – scrive san Paolo ai Corinzi – siamo i vostri servitori a causa di Gesù” (2Corinzi 4,5).
Noi siamo per loro e non loro per noi. Non è la gente per noi, ma siamo noi per loro. Nel giorno dell’ordinazione siamo stati unti e consacrati perché, ‘in persona Christi’ e come suoi strumenti, ci dedicassimo corpo e anima, anche attraverso i sacramenti, all’annuncio del Vangelo, alla santificazione del suo popolo e al servizio del sacerdozio battesimale dei fedeli laici. Noi siamo dedicati al ministero sacro a tempo pieno e, se non stiamo attenti, talvolta rischiamo di capovolgere le parti e, sotto sotto, veniamo a pretendere che gli altri siano per noi e non noi per gli altri. Non dobbiamo aver paura di chiederci, me compreso, se per caso un po’ di mentalità ‘padronale’ non sia passata inevitabilmente anche dentro di noi. Ad esempio: stabilire gli orari secondo il nostro comodo, costruire gli edifici come piace a noi, senza una vera corresponsabilità con gli organismi di partecipazione, usare dei soldi secondo i bisogni pensati da noi e non in comunione con la comunità, fare scelte pastorali, pure innovative, senza un vero confronto con i laici. Non dobbiamo mai dimenticare che noi veniamo dal popolo di Dio, anzi lo siamo ancora! È strano, però, come talvolta, cambiata la situazione, si passi dall’altra parte. Questa è la mentalità clericale così tanto stigmatizzata dal Santo Padre e motivo di costante esame di coscienza per ciascuno. Il pericolo di offendere le persone e il popolo di Dio, capovolgendo i ruoli è grande. È necessario che assumiamo in profondità una coscienza viva della nostra vocazione, del nostro ruolo e del servizio ministeriale, così come dell’identità e del ruolo dei fedeli laici, che non sono una massa ma una comunità di persone con una specifica vocazione, con i propri doni, talenti e ministeri dati dallo Spirito. Non dimentichiamolo mai: noi siamo per loro. Nostro compito è di aiutarli a maturare il senso della comunione e della corresponsabilità. I laici, ci ricorda il Concilio, hanno un ruolo specifico nella Chiesa, nel mondo e nella società. Tutti insieme, ministri ordinati, laici e consacrati/e, siamo chiamati a realizzare una vera comunione e corresponsabilità, valorizzando i doni di ciascuno e mettendoli a servizio non di se stessi ma della comunione e della fraternità. La specificità dell’unzione, che noi consacrati abbiamo ricevuto, è per servire e non per comandare. L’olio crismale non è un profumo d’élite! Siamo stati unti per chinarci davanti ad ogni fragilità e sofferenza delle persone, disponendoci ad andare sempre al di là della nostra persona e del nostro ruolo. L’essere consacrati con il Crisma ci aiuta ad essere pronti ad accogliere tutti i profumi, tutti gli odori, anche quelli più nauseanti, che giungono dalla terra e dall’umanità di oggi. Purtroppo sono tanti gli odori di morte, di corpi umani uccisi e dilaniati dalle bombe o dalle tragedie provocate da una terra sempre più sfruttata e devastata. Sono gli odori di tante persone che non vengono accolte, di bimbi e donne abusate; gli odori delle periferie esistenziali che sono presenti anche nel nostro territorio. Ma sono pure i profumi di tanti gesti di amore e di solidarietà, fatti spesso in modo silenzioso, che testimoniano che l’amore è più grande dell’odio e che il bene genera pace, giustizia, solidarietà e bontà.
L’Eucaristia che ogni giorno celebriamo è la fonte e la perenne sorgente di ogni gesto di bontà e della comunione vicendevole. Anche il cammino sinodale, frutto dello Spirito che guida la sua Chiesa, è ben avviato in Diocesi e ci sta coinvolgendo sempre di più come popolo di Dio: preti, diaconi, consacrati/e e laici. Un camminare insieme per accogliere la Parola e per discernere quali strade percorrere, per interpretare le tante domande e richieste delle persone e per portare la Parola che salva, il Vangelo della gioia e della speranza. È un’esperienza che mi sta coinvolgendo in prima persona e che sento preziosa per l’essere pastore per voi e con voi. Le numerose persone incontrate mi hanno testimoniato il bene che stanno ricevendo dal cammino sinodale, fatto di ascolto e di confronto. La Chiesa, lo sappiamo bene, non è una grande azienda specializzata in strategie di marketing pastorale, ma è opera dello Spirito Santo che agisce attraverso tutti noi, insieme, aiutandoci a metterci in ascolto di Dio fino a sentire con Lui il grido del popolo. Ascolto che ci aiuta a discernere, interpretando i segni dei tempi, gli interrogativi più profondi sulla vita, per ridire con il linguaggio di oggi, le eterne parole del Vangelo, individuando nuove opportunità e modalità di annuncio e superando le inevitabili fatiche al cambiamento e al rinnovamento. I verbi che esprimono meglio la missione della Chiesa per l’oggi sono “andare” e “uscire”, ma non per fondare una nuova chiesa o per rinnegare il cammino fatto, ma per ricordarci che il Vangelo e la storia richiedono una Chiesa dal cuore missionario, con le porte aperte, perché “la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa” (Evangelii Gaudium 47). Il cammino che stiamo facendo ci aiuterà a rendere ancora più belle e attrattive le nostre comunità cristiane, abilitate il nuovo che lo Spirito Santo dona ancora alla sua Chiesa. Siamo tutti a conoscenza delle fatiche del nostro ministero e della situazione di tante nostre comunità parrocchiali che si trovano in mezzo ad un guado indefinito tra il nuovo che stenta a farsi strada e il vecchio che è difficile da abbandonare. Il papa ci invita da anni “ad abbandonare il comodo criterio pastorale del ‘si è sempre fatto così’. Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità” (Evangelii Gaudium 33). Un invito particolare a voi, carissimi presbiteri e diaconi, primi responsabili del cammino pastorale delle nostre comunità, ad essere i primi ad accogliere lo Spirito e a sostenere con passione questa ultima fase del cammino sinodale. La vostra partecipazione e il vostro sostegno sono fondamentali perché la nostra Chiesa diocesana possa accogliere il soffio rinnovatore del Paraclito. Essere a servizio della crescita del popolo di Dio, è il compito primario che il Signore e la Chiesa ci hanno affidato. Vi ringrazio di cuore per l’amore e la passione, per essere discepoli-missionari e per mettere in atto nuovi processi di evangelizzazione.
Saluto con affetto tutto il popolo sacerdotale della nostra Diocesi qui rappresentato dai numerosi fedeli laici, dai consacrati e consacrate nelle diverse forme, dai diaconi stretti collaboratori e da voi presbiteri tutti, insieme con i confratelli vescovi emeriti Ovidio e il comboniano Rino che dall’estate scorsa è presente in diocesi. Oggi, Giovedì Santo, noi ricordiamo l’anniversario dell’Ordinazione, in particolare ricordiamo coloro che celebrano il 25mo e 50mo. Ci rallegriamo, assicurando il ricordo e la preghiera. Permettermi di dirvi un grazie affettuoso e sincero che parte dal cuore a voi presbiteri e diaconi, primi collaboratori nell’annuncio del Vangelo in questa nostra terra tra il Livenza e Tagliamento. I tempi che viviamo non sono facili per nessuno, neppure per me. Le fatiche personali, spirituali e pastorali talvolta si intrecciano, lasciandoci un po’ di amarezza se non di rimpianto. Umanamente sembrano esserci poche vie di uscita, ma dal profondo del cuore sappiamo che non è così, perché il Signore è il tutto della nostra vita; è Lui che abbiamo scelto, preferendolo ad altre prospettive e possibilità. Lui è sempre fedele alle sue promesse e alla Parola che ci ha dato. Talvolta c’è, pure, qualche incomprensione tra di noi. Non sempre le idee e i progetti collimano. Ma siamo una famiglia e vi voglio bene con tutto me stesso, credendo in voi e nel vostro ministero. Le vostre fatiche sono anche le mie fatiche, e solo insieme riusciremo a superarle e ad esser ancora di più segno nella Chiesa e nel mondo dell’amore di Dio. Alcuni confratelli sono presenti spiritualmente, penso agli anziani e ammalati, a chi non ha potuto essere presente. In particolare ai presbiteri che svolgono un ministero nella Chiesa universale e in altre Diocesi come Fidei Donum. Don Romano, don Gabriele e don Loris sono rientrati definitivamente. Celebra con noi don Lorenzo che fra poco ritornerà in Mozambico. Preghiamo perché altri presbiteri e laici prendano la strada della missio ad gentes per farci sentire Chiesa in cammino e in uscita. Ma ringraziamo il Signore che ci offre la possibilità di sperimentare la bellezza e la forza dell’universalità della Chiesa, non solo inviando missionari Fidei Donum, ma accogliendo nella nostra Diocesi seminaristi, preti e consacrati/e di altre Chiese (non uso il termine straniero, perché nessuno è straniero nella Chiesa). Come sapete è da anni che, accogliendo l’invito dei vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, anche nella nostra Diocesi vivono per un periodo determinato, sacerdoti Fidei Donum di altre Chiese che sono qui per studio, nelle vicine facoltà ecclesiastiche, o per un periodo di pratica e servizio pastorale. Li saluto con affetto assicurando la nostra vicinanza e amicizia. Siamo contenti della loro presenza. Un grazie, pure, ai confratelli, diocesani e religiosi, di altre Chiese che sono qui per aiutarci e per vivere questi santi giorni pasquali.
Il Signore ci faccia crescere nella comunione e nella fraternità per portare all’umanità il profumo di una vita santa. A tutti auguro una santa Pasqua!
+ Giuseppe Pellegrini, Vescovo
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