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Mozambico: ci scrive don Lorenzo Barro

Don Lorenzo è fidei donum in Mozambico, ma non dimentica di informare la sua diocesi e Il Popolo di come la parrocchia di Chipene sta vivendo in questi giorni per noi funestati dal coronavirus, per loro "arricchiti" (si fa per dire) da morbillo e altre malattie. Ecco cosa ci ha scritto...

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Mozambico: ci scrive don Lorenzo Barro

Don Lorenzo Barro, fidei donum della nostra Diocesi a chipene (Mozambico) si trova a vivere da solo questi giorni della pandemia. Infatti l’altro fidei donum, don Loris Vigandel, rientrato ad inizio anno in Italia, è rimasto bloccato per la sospensione dei voli internazionali.
Don Lorenzo è molto attivo sui social e non dimentica di informare la sua diocesi e Il Popolo di come la parrocchia di Chipene (che è grande quanto tutta la nostra diocesi) sta vivendo in questi giorni per noi funestati dal coronavirus, per loro "arricchiti" (si fa per dire) da morbillo e altre malattie.
Riportiamo qui sotto quanto ci ha scritto:

"Un saluto a tutti i lettori. Diciamo che sono sempre "solo", senza don Loris. ma con tanto movimento attorno.
È arrivata suor Eleonora che rimpolpa la comunità delle suore. Ho ricevuto la visita delle suore di Namapa; sono venuti da Cavà anche don Silvano, Elena e Gloria, insieme a don Claudio da Alua. Si sono fermati due giorni e abbiamo celebrato l’anniversario di ordinazione di Silvano. Quindi c’è un po’ di movimento.
Sul fronte coronavirus qui stanno facendo test e incontrano sempre nuovi casi positivi, negli ultimi giorni in maggioranza nella provincia di Nampula. Generalmente manifestano sintomi lievi o moderati; deve esserci solo un ricoverato. Questo ci lascia un po’ più tranquilli.
Comunque siamo in stato di emergenza fino al 29 giugno.
Le attività continuano in parrocchia come al nostro presidio medico pediatrico con suor Angels che accoglie tantissime mamme con i loro piccoli pieni di problemi. Vi racconto alcune delle loro storie, utilizzzando nomi fittizi, per rispetto delle persone e facilitare lettura e comprensione.
Ho già condiviso la notizia di Fatima, un mese di vita per neanche due chili di peso, che purtroppo non ce l’ha fatta. Ma il giorno di apertura del nostro presidio, per ricevere i bambini malnutriti, è sempre molto interessante di storie e incontri. Così dopo Fatima è arrivato Ibraimo: due mesi per un chilo di peso, anche lui orfano di madre. La famiglia abita a Nahavara, sul litorale. Un viaggio lunghissimo (sui 30 km), che si deve spezzare in due giorni, chiedendo ospitalità lungo il cammino. È una prassi del tutto normale qui, anche per questo partono sempre con qualcosa da condividere con la famiglia ospitante: un po’ di mandioca o, per cose più “impegnative”, una gallina… Dopo le cure date, anche noi aspettiamo con ansia di vedere se Ibraimo tornerà, per vedere se sta meglio e come cresce.
Ci sono poi mamme (o nonne) che non riescono a gestire la situazione: Eusebio, già due anni, neanche un documento personale, perché non è stato partorito all’ospedale (quindi niente scheda) né ha fatto le vaccinazioni. Viene già da tempo a Chipene, ma è uno scheletrino di tre chili.
Suor Angeles cerca di controllare la situazione e si arrabbia: il bambino piange disperato, ma non mangia la pappa. Significa che non è stato ancora svezzato e la mamma non lo spinge a mangiare. Cosa faranno della farina che vengono a prendere qui, se poi il piccolo non la mangia? Domande senza risposta.
Felipe e Angelo sono due bei gemellini. I parti gemellari e anche trigemellari sono molti, forse anche per le campagne di pianificazione familiare: se danno contraccettivi possono essere male utilizzati e/o una volta che le donne smettono l’assunzione aumenta la probabilità di parti gemellari. La mamma dà da mangiare a queste due creature con una pancia gonfia come un pallone, a causa di parassiti intestinali. Bisognerebbe trattarli, ma andare all’ospedale adesso significa perdere tempo e sentirsi dire che “non c’è la medicina” (va peggio da quando siamo in emergenza coronavirus).
Mussa è un bambino idrocefalo, la mamma cerca di tenergli coperta la testa con una capulana (capulana è il nome che viene dato in Mozambico ai teli colorati che ogni donna possiede e con i quali si avvolge i fianchi ndr.). Purtroppo si sa che non vivrà a lungo. Penso a quella mamma giovane: quanto stress deve sopportare. L’ho vista muoversi con gesti bruschi. Un bambino così mette in croce la mamma: continuerà a chiedersi cosa ha fatto perché le nasca un figlio così, si sentirà di essere lei la colpa, e si guarderà attorno sentendosi, per lo stesso motivo, giudicata dagli altri.
Natalia col suo piccolo viene da Miteve (12 km) ed è partita da casa quando ancora faceva buio. Filomena invece viene da Namituco (16 km) e con un grande sorriso racconta che è partita alle tre di notte. Tutte hanno una certa fretta di chiudere presto la visita, perché devono affrontare il viaggio di ritorno.
Ogni volta che passo mi commuovo: per queste storie, ma anche per queste donne, molte giovani, che con il loro niente comunque tentano di curare con tenerezza i loro figli.
E sento che è un’umanità vera: poverissima e ignorante, ma vera. E riesco a mettere tra parentesi tutti i disastri che combinano nella loro miseria e ad amare un po’ di più la vita di cui tutti quei bambini sono germoglio potente.
Un saluto a voi tutti
don Lorenzo Barro

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