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Intervista al sociologo Vittorio Filippi: denatalità e le sue conseguenze, un cocktail velenoso

Denatalità, più spopolamento, invecchiamento e de-familirizzazione formano un cocktail velenoso. O si fanno figli o si tengono qui gli immigrati con famiglia

Parole chiave: Vittorio Filippi (1), denatalità (1), Spopolamento (1), Invecchiamento (2), Immigrazione (2)
Intervista al sociologo Vittorio Filippi: denatalità e le sue conseguenze, un cocktail velenoso

dati non hanno bisogno di spiegazione: la denatalità è ben insediata in Italia come nei nostri territori friulano-veneti. Ma una chiave di lettura di quanto sta accadendo questo non guasta, anzi è necessaria. Lo facciamo insieme al sociologo e docente Vittorio Filippi.

Professore si parla di inverno demografico: come si spiega questo freddo nei nostri territori?
Innanzitutto possiamo dire che, nel 2024, definiamo questo un fenomeno già vecchio. La denatalità è cominciata negli anni ’70, ha avuto una ampiezza notevole dagli anni ’80. Era doveroso capirlo prima. Poi va sottolineato che la denatalità non è un fenomeno isolato ma si porta dietro altri tre fenomeni, non positivi.
Un guaio tira l’altro. E con chi viaggia?
Le tre compagne della denatalità sono spopolamento, invecchiamento, de-familirizzazione. Spiego: lo spopolamento colpisce intere aree al Sud, dove è molto presente, ma anche al Nord in riferimento alle zone montane. A sua volta lo spopolamento comporta la fuga dei (pochi) giovani, la riduzione dei servizi…. Poi c’è l’invecchiamento, che significa lo squilibrio crescente nella popolazione tra la presenza di grandi anziani over ottantacinquenni e quella dei giovani. Cosa che, a sua volta, va a influire sul discorso pensionistico e previdenziale, mettendolo in crisi ovviamente. Infine c’è quella che si definisce de-familirizzazione: ormai quelle che definiamo famiglie sono coppie senza figli o single. Per il Veneto c’è una previsione: a metà secolo le coppie senza figli saranno molto maggiori di quelle con figli. E nel Friuli si sta pure peggio. Questa de-familirizzazione a sua volta comporta una conseguenza molto difficile da gestire: ovvero la famiglia, così nuovamente intesa, non avrà la capacità di welfare della vecchia famiglia, non avrà chi potrà occuparsi né degli anziani né dei figli a tempo pieno.
Riassumendo, denatalità, più spopolamento, invecchiamento e de-familirizzazione formano un coktail velenoso.
Come se ne esce? Che fare?
Dipende cosa voglio fare: invertire la rotta o mitigare il fenomeno? Ma la denatalità è come il cambiamento climatico: abbiamo capito che per cambiare la rotta è ormai tardi - impensabile tornare ai nati degli anni ’60 - quindi pensiamo almeno a fare qualcosa per migliorare un po’, per mitigare e ridurre gli effetti negativi.
E che si può fare?
Non vedo che due strade: o si investe sulle nascite o si investe sulla immigrazione. Tertium non datur.
Investire sulle nascite: intende a livello economico?
Non credo che basti e non mi riferivo a quello. Conta l’immagine della maternità che si dà, come della paternità: è quella immagine che deve essere attrattiva, appetibile. Nella propria identità psicologica deve esserci, e pesare, la voglia, il desiderio, il progetto di diventare genitori. Manca il desiderio di quello che era il metter su famiglia, manca la bellezza - e detto in maniera lontana dalla retorica - il piacere di un figlio. Per questo la spinta economica in sé non la ritengo sufficiente, serve piuttosto una maturazione di pensiero. E comunque, se anche ci fosse, passerebbero parecchi anni prima che se ne possano vedere i risultati in senso demografico.
La stessa Francia, capofila delle nascite in Europa, e si diceva proprio per la politica di sostegno economico, è ora alle prese col calo dei nati…
Dichiaro la mia simpatia a Macron perché, demograficamente parlando, sa cogliere le cose. Le donne francesi erano le uniche con due una media di due figli, noi siamo a 1,29 a donna. E ora che le nascite diminuiscono, rilancia aiuti alla fertilità e altre strategie. Lo fa perché consapevole che il numero dei dati dà potenza: aumentano i consumi, la produzione, il peso politico, economico della nazione. E’ possibile che il suo sia solo un pensiero nazionalistico, ma è altrettanto vero che in Italia manca una visione demografica per il paese: i figli sono un bene per chi li ha, ma sono anche una risorsa dal punto di vista collettivo.
E riguardo la seconda strada, quella della immigrazione?
Vuole dire sostanzialmente che bisogna pensare alle coppie e bisogna pensare alla buona integrazione. E’ inutile far sbarcare migliaia di persone per poi trattarle male e finire col mandarle in Germania o nel nord Europa. Alla demografia l’accoglienza non basta, non fa numero.
Quale delle due strade le sembra più percorribile in Italia?
Sono due strade che avremmo già dovuto percorrere. Non so se siamo al punto di non ritorno o lo abbiamo già superato, ma una cosa è certa: più la malattia si aggrava, più puoi fare poco. Ricordiamo che l’ultimo rapporto Censis, di dicembre 2023, ha definito gli italiani sonnambuli: l’Italia corre ma non guarda dove va. La demografia non fa rumore ma intanto procede e quando se ne colgono gli effetti non è semplice rimediare.
Ma quale sarebbe più facile da attuare in Italia?
Sono difficili tutte e due: cambiare una visione è un’operazione lunga, forse serve una risposta da psicologo più che da sociologo. Io trovo che le coppie hanno una visione inaridita: c’è talmente tanta sessualità virtuale che quella reale ha perso attrattiva. E per gli immigrati siamo al paradosso: sappiamo benissimo che ci servono ma non li vogliamo.
E’ questa la tempesta demografica perfetta?
E’ l’insieme dei quattro fenomeni detti prima. E’ quella che Hegel definiva "la civetta della storia". Canta dopo, in ritardo. E a chi serve?
Simonetta Venturin

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