Intervista al cardinal Gualtiero Bassetti, presidente Cei
Il Cardinale Bassetti è per due giorni nella nostra diocesi: il 2 agosto, a Pordenone ore 17 visita Madonna Pellegrina sede Caritas diocesana insieme al vescovo Pellegrini; a Bibione ore 21, nella parrocchiale Santa Maria Assunta preside la celebrazione della apertura della porta santa per la perdonanza bibionese.
Il 3 agosto, ore 9.30, nella cattedrale Santo Stefano di Concordia Sagittaria presiede la celebrazione del patrono della Diocesi e avvia il "Cammino della Concordia" dei nostri giovani.
La Chiesa in ottobre vivrà il Sinodo dei giovani: è più un atto di coraggio o di fiducia verso le nuove generazioni?
Non è solo un atto di coraggio o di fiducia, è molto di più. Il Sinodo è un dono per la Chiesa universale ed è, al tempo stesso, un segno di speranza per il mondo intero perché mostrerà a tutti il volto di una Chiesa giovane. Non si tratta di una questione anagrafica ma di una dimensione intrinsecamente spirituale. Nella storia della salvezza, abbiamo molti esempi di una Chiesa giovane: con Azaria, Anania e Misaele nella fornace ardente; con san Francesco e i suoi giovani frati che scelgono di vivere nel tugurio di Rivotorto di Assisi; e infine anche con Chiara Corbella Petrillo che ha donato la sua vita per salvare quella di suo figlio.
Nel suo recente viaggio in Ucraina lei ha detto che, per sostenere la stanchezza di una società invecchiata e rinunciataria, c’è bisogno dei giovani. È questo l’obiettivo del Sinodo?
Il Sinodo non ha un obiettivo preconfezionato da raggiungere come se fosse un congresso politico o una riunione aziendale. Sinodo significa camminare sulla stessa strada. I padri sinodali faranno questo cammino di riflessione mettendo a tema i giovani. A mio modesto avviso, i giovani posseggono nel loro cuore una sete d’infinito che troppo spesso, però, viene annacquata da una effimera mondanità. Ecco, penso che con il Sinodo la Chiesa si metterà in ascolto di tutte le questioni che verranno sollevate sui giovani e aiuterà il discernimento comunitario partendo sempre da quella che è l’unica fonte di cui abbiamo veramente bisogno: Gesù Cristo.
Anche se non scritte, girando per l’Europa restano evidenti o latenti le sue radici cristiane?
In ogni angolo d’Europa è possibile rintracciare la presenza di una spiritualità cristiana resa visibile da un monastero o una chiesa, da un palazzo episcopale o un monumento. Purtroppo, però, come ha detto Francesco, oggi l’Europa appare vecchia e sterile come una nonna. Queste radici appaiono sfilacciate e talvolta sembra che se ne stia perdendo memoria. C’è bisogno di un nuovo umanesimo europeo che come ha detto il Papa sappia integrare, dialogare e generare.
La famiglia è un pilastro incrinato: lei ha invitato a una pastorale familiare meno astratta. A chi guardare dunque?
Non direi che la famiglia è un pilastro incrinato. Sottolineerei, piuttosto, che la famiglia, pur nelle sue indiscutibili fragilità, rimane un pilastro fondamentale della società. Quello di cui abbiamo più bisogno, come pastorale familiare, è lo sguardo del Samaritano: uno sguardo di umanità e carità, che non si tira indietro davanti al sofferente e che si prende cura delle sue debolezze. Oggi, gran parte delle famiglie italiane vive in condizioni di estrema povertà. Una povertà sociale dettata da condizioni di vita difficilissime: la perdita o la precarietà del lavoro, la mancanza di una casa, l’impossibilità di pagare gli studi ai figli. E accanto ad essa una povertà relazionale ancor più profonda: famiglie spezzate da un matrimonio entrato in crisi, assenza delle tradizionali reti di parentela, disagi sociali legati a patologie come la droga, l’alcolismo o la ludopatia. Di fronte a queste realtà non servono grandi astrazioni ma una pastorale estremamente concreta che parta, necessariamente, dallo sguardo mite e caritatevole del samaritano.
È la paura del "per sempre" a limitare le scelte definitive del matrimonio e il sacerdozio? E come la si argina?
La paura del "per sempre" è figlia del nostro tempo. Un tempo in cui tutto è precario, dal lavoro ai legami affettivi, e in cui molti uomini e donne vivono in condizione di estrema solitudine. Dobbiamo assolutamente interrompere questo declino sociale. E lo si può fare in due modi: in primo luogo, annunciando al mondo la bellezza del matrimonio e della famiglia. Il "per sempre" non deve essere concepito come una legge morale da adempiere per obbligo, ma deve essere vissuto come una scelta di libertà da cui può scaturire la felicità, anzi, una gioia piena per ogni persona. In secondo luogo, chiedendo di investire concretamente su nuove politiche familiari che rivedano totalmente il rapporto tra il tempo del lavoro e il tempo della famiglia. Alle famiglie di oggi, oberate dal lavoro o dalla precarietà, manca il tempo per stare assieme. A partire dalla domenica che deve tornare ad essere il giorno del riposo.
Nell’arcidiocesi di Perugia ha da poco partecipato alla Giornata dei Grest, con oltre 3 mila ragazzi. Quanto conta ancora oggi questa esperienza di vita in parrocchia? Sia per le famiglie, che per la Chiesa stessa, come occasione di contatto vero con tanti papà e mamme e figli…
Vedere quelle migliaia di giovani e le centinaia di volontari che partecipano al Grest mi dà grande gioia. È un momento di contatto diretto tra la comunità cittadina e quella ecclesiale. Un momento gioioso di testimonianza, di solidarietà e di evangelizzazione. Spero che sia anche un momento di conversione, perché la felicità sui volti dei bambini non è data solo dalle attività ludiche ma è un dono che viene dall’alto.
Papa Francesco nell’omelia a Santa Marta del 4 maggio scorso ha detto che: "Il vescovo è quello che sa guardare per difendere il gregge dai lupi". Quali lupi vede all’orizzonte il presidente dei vescovi?
I lupi, nel corso della storia, sono sempre gli stessi. Cambiano i volti, i linguaggi e le maschere ma hanno sempre un solo obiettivo: dividere il gregge per poi sbranare le pecore. D’altronde come ha ricordato il Papa "il diavolo è divisore e si può insinuare in ogni comunità". I lupi più pericolosi, infatti, sono quelli travestiti da agnelli che entrano nell’ovile e suonano una musica suadente che distoglie i fedeli dalla luce e dall’amore di Cristo. Oggi, i rischi più grandi si chiamano individualismo, nichilismo e razzismo.
Simonetta Venturin
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