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Domenica 19 novembre, commento di don Renato De Zan

Bene, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone

Parole chiave: Talenti (3), Vangelo (126), Renato De Zan (8)
Domenica 19 novembre, commento di don Renato De Zan

17.11.2017. 33° domenica del T.O. - A

 

Mt 25,14-30

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 14 Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 15 A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito 16 colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. 17 Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 18 Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.19 Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. 20 Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. 21 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 22 Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. 23 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. 24 Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. 25 Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. 26 Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 27 avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 28 Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 29 Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. 30 E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

 

 

Il Testo

 

1. La pericope evangelica, per diventare formula liturgica, ha subito una soppressione al v. 14 (cancellazione della congiunzione “infatti”) e un’aggiunta piuttosto abbondante che esprime il mittente (Gesù), i destinatari (i discepoli) e il contenuto del messaggio (una parabola o, meglio un paragone: “Avverrà infatti come a un uomo….”). Il testo di Mt 25,14-30 è il penultimo brano del lungo discorso escatologico di Matteo (Mt 24,4-25,46) e insegna come il giudizio finale verrà gestito da Dio con il criterio della giustizia proporzionale.

 

2. Sarebbe opportuno leggere la formula evangelica lunga. La forma breve arrischia di oscurare il significato del lungo paragone perché non si possono comparare le parole dette al primo servo con dieci talenti finali e quelle dette al secondo servo con quattro talenti finali. La formula evangelica si può scandire in tre momenti. Il primo è dato dall’incipit liturgico che presenta la scena. Il secondo momento (Mt 25,14-27) è costituito dal lungo paragone che viene chiamato “parabola”. L’ultimo momento (Mt 25,28-30) contiene la riflessione conclusiva di Gesù che a noi sembra lontana dalla nostra logica.

 

 

L’Esegesi

 

1. Il paragone vede quattro protagonisti: un uomo, che poi risulterà essere il padrone, e i tre servi. Costoro si comporteranno in modi diversi: i primi due sono operativi e producono il doppio di quanto hanno ricevuto; il terzo è un pigro. L’uomo chiede di regolare i conti e sappiamo come è andata: i primi due ricevono l’approvazione del padrone e l’invito a gioire con il padrone (“Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”). Il terzo servo, il servo inutile, “gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.

 

2. Il significato originario del racconto riguardava l’impegno che ogni credente deve porre nel far fruttificare i talenti (= carismi) ricevuti da Dio. I ritocchi della Chiesa nascente hanno trasformato il racconto in un quadro generale di giudizio finale: come Dio giudicherà gli uomini? Con la giustizia proporzionale. Chi ha prodotto dieci talenti non viene premiato più di chi ne ha prodotti quattro. Ambedue hanno dato il cento per cento. Ad ambedue viene dato lo stesso premio.

 

3. La conclusione della formula lunga ha un’espressione un po’ difficile per la mentalità occidentale (“Perché a chiunque ha verrà dato e sarà nell'abbondanza…”). Una traduzione concettuale potrebbe essere così espressa: a chi ha fede e ha vissuto secondo quanto la sua fede dettava, avrà il premio e lo avrà in abbondanza. Chi non si è mai interessato della fede verrà trattato per ciò che ha scelto.

 

Il Contesto Liturgico

 

1. La prima lettura è di tipo eclogadico, cioè con versetti scelti (Pr 31,10-13.19-20.30-31). Esprime la laboriosità che si ritrova nei primi due servi del racconto evangelico. La Colletta propria chiede nella petizione: “Rendici servi operosi e vigilanti”. L’obiettivo è chiaro: “Perché facciamo fruttare i nostri talenti per entrare nella gioia del tuo regno”.

 

2. Per un approfondimento: Fabris R., Matteo, Commenti biblici, Borla, 1982, 496-501; Gnilka J., Il vangelo di Matteo. Parte seconda, Commentario teologico del N. T., Paideia, Brescia 1991, 519-533; Grasso S., Il vangelo di Matteo, Collana Biblica, Ed. Dehoniane, Roma 1995, 581-586; Luz U., Matteo 3, Commentario Paideia . Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 2013, 605-631.

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