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Una serata dedicata al "Magnificat" con il prof Fulvio Ferrario

Aladura organizza venerdì 16 novembre alle 20.30 nell'auditorium Vendramini di Pordenone, l'incontro dedicato al Magnificat, l’annuncio straordinario dell’avvento della Luce, con il professor Fulvio Ferrario che abbiamo intervistato 

Una serata dedicata al "Magnificat" con il prof Fulvio Ferrario

Un Bambino in arrivo in un modo molto straordinario e unico, una visita ad un’altra donna che aspetta miracolosamente il suo bambino: è così che si entra nell’Avvento. Ne parlerà, venerdì 16 dicembre alle 20.30 all’auditorium del Vendramini in Pordenone, il prof. Fulvio Ferrario, pastore protestante, docente di Teologia alla Facoltà Valdese di Roma. L’appuntamento rientra nel ciclo di incontri "Nuvole" organizzato dalla associazione culturale Aladura di Stefano Bortolus. Ne parliamo direttamente con il relatore.

Prof. Ferrario: perché ha scelto il Magnificat?

Innanzitutto è un inno molto noto che i più conoscono. Poi è un classico dell’Avvento. Lo si trova nel Vangelo di Luca che lo colloca nel quadro della Visitazione, ossia dell’incontro tra Maria ed Elisabetta, che l’evangelista definisce una parente ed è l’unico. Legandole, lega anche i due nascituri, che sono accomunati anche da un altro fatto: quello di essere frutto di due gravidanze particolari. Quella di Elisabetta avviene infatti in una età avanzata e quella di Maria diciamo che avviene in circostanze non chiarite. Non è un fatto anomalo nella Bibbia.

Ovvero?

 Nascite avvenute quando le speranze erano svanite, nascite come dono di angeli. Si pensi alla storia di Abramo. Ma il Magnificat in particolare ricorda nella forma il Cantico di Anna, nell’Antico Testamento, primo libro di Samuele. Anna non riesce ad avere figli, viene derisa. Prega e viene ascoltata: la sua gioia si manifesta in un inno non troppo lontano da quello di Maria. E’ una for[1]mula non esplicitamente cristiana, che segue i canoni della poesia ebraica. Ce lo spiega professore: perché non cristiana?

Preciso meglio: nel senso che non è già cristologica, ma religiosa sì. Nel mondo ebraico la spiritualità è anche politica e in effetti questo è un inno sovversivo.

Perché sovversivo?

Perché questo canto è un inno di battaglia dentro un evangelo, come è quello di Luca, che si distingue per un taglio molto sociale. E’ il racconto di Luca ad aver nutrito la poesia del Natale che noi vediamo nelle poesie e nei quadri. E non sarò certo io a toglierla alla gente nè a me stesso. Perché è un vangelo sociale? Perché è una storia di profughi, una storia di provincia, di quelle periferie di cui oggi parla Francesco. L’evangelista lo sottolinea coll’incipit del capitolo terzo: "Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca...". In una lista di tal genere dove accade il fatto che cambia la storia dell’umanità? Non al cospetto e nei palazzi di questi potenti, ma lontano a Nazareth, a Betlemme. Non in una casa o in un alloggio, ma in un posto con una mangiatoia, in una stalla, un ricovero per animali. Per questo è sovversivo e politico, ha toni aggressivi non nuovi alle scritture se si pensa a quelli usati dai profeti come Amos e Isaia nell’Antico Testamento.

Come si legano la dimensione sociale e quella spirituale?

Ma la dimensione sociale non è estranea né in contrapposizione a quella religiosa. E’ il riscatto degli ultimi: "Ha guardato alla umiltà della sua serva... Ha rovesciato i potenti dai troni". Questo dice il Magnificat.

Lei ha parlato di gravidanze straordinarie e profughi: temi molto attuali.

Non uso le scritture per fare comizi, però è evidente che in Luca è centrale il tema "per loro non c’era posto nell’alloggio". Quella coppia è la storia di due profughi in balia della storia e degli eventi come il censimento. A loro tocca di non essere accolti nelle strutture esistenti, di essere ai margini.

E tutto questo c’è in modo particolare in Luca.

In Matteo si sottolinea maggiornamente la perplessità di Giuseppe: devono intervenire le potenze angeliche per convincerlo. In Luca invece prevale la straordinarietà della gravidanza e della nascita. Affonda le radici in quella straordinarietà che è già presente nell’Antico Testamento, come nella storia di Abramo e del suo figlio che verrà chiesto in sacrificio. C’è tutto un parallelismo.

Lei però ha parlato di Luca e della poesia del Natale che è derivata dal suo descrivere la Natività in un certo modo.

In Matteo ci sono i magi, spie mandate a vedere. In Giovanni c’è una frase che tutto riassume: "La luce splende nelle tenebre". In Luca c’è tutto: ci sono gli angeli e i pastori che hanno nutrito canti, poesie, musica, quadri fino ai nostri presepi. Era importante che ci fossero gli angeli: esprimono la vicinanza di Dio a coloro che la società tiene lontani, lascia ai margini. A volte lo si legge in un modo che direi sdolcinato. Invece, il significato è che Dio c’è, è vicino, anche se non cambia la storia e non elimina i drammi della storia. La nascita resta nel luogo della mangiatoia, tra gli esclusi dei palazzi, ma a quella nascita fanno coro gli angeli.

Ha parlato di una lettura non sdolcinata.

Visti in sè i racconti del Natale sono assai poco natalizi. Persone rifiutate, nascita in condizioni precarie, spie del malvagio, fuga per la salvezza in un paese straniero e la strage dei bambini... ma questo ci dice che nella tragedia la speranza. E’ il grido di Rachele che muore dando alla luce suo figlio, vita nuova. E’ la Croce del Cristo che è già presente. Tutto questo ci dice anche che i testi dei vangeli non sono stati scritti di gettito, ma sono stati ponderati: c’è tanto di più di quanto si può dire in una conferenza.

Nonostante gli elementi drammatici, quando si pensa al Natale si prova gioia. Davvero il Bambino che nasce ci porta una speranza più forte del male che lo circonda e ci circonda?

Non voglio certo distruggere la poesia del Natale: mi appartiene per storia personale, tradizione, studio. E’ nella musica di Bach. Il Bambino rappresenta anzi è la presenza di Dio nel mondo pur nella drammaticità della storia: ieri come oggi.

Giovanni lo dice in un versetto: lei lo ha ricordato.

Certo è tutto lì: "La luce splende nelle tenebre". Questa è la buona notizia: la luce splende, ma nelle tenebre. Le tenebre ci sono, ci saranno e ci sono state: ma è nel loro nero che la luce può risplendere

Fonte: Redazione Online
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