Quando a Pordenone infuriava la tubercolosi
La tubercolosi colpì anche in epoche recenti: storia dell’ospedale cittadino e del padiglione sanatorio (nella foto qui accanto)
Nell’immediato primo dopoguerra l’ospedale di Pordenone dai locali annessi alla chiesa di Santa Maria degli Angeli detta del Cristo in centro città si trasferì in via Montereale. Occupò il luoghi già Caserma Umberto I. I primi degenti ad esservi trasportati furono gli ammalati di Spagnola.
I luoghi erano precari e privi quasi completamente di attrezzatura sanitaria. Col passare del tempo l’ospedale si attrezzò, ma rimase sempre grave il problema degli affetti da tubercolosi.
La tubercolosi o TBC che dalla notte dei tempi ha decimato le popolazioni, soprattutto quelle più deboli e malnutrite, imperversava ancora molto in Italia. Fu solo con l’arrivo degli antibiotici che si poté affrontarla con migliori risultati. Il problema della Tubercolosi, detta anche tisi, o mal sottile che consuma, persisteva ancora nella seconda metà del Novecento.
Precise norme igieniche e comportamenti adeguati venivano impartiti nelle scuole, nelle colonie, nei locali pubblici e anche all’aperto. Molti locali erano dotati, ci si scusi per il termine, delle cosiddette sputacchiere. Recipienti di metallo smaltato, terracotta o vetro, pieni di segatura o di calce, posti in terra, per sputarvi dentro, talvolta forniti di coperchio sollevabile premendo col piede su apposito pedale con opportune precauzioni igieniche.
Ritornando all’ospedale di Pordenone si pensò alla costruzione di un sanatorio. Erano strutture sanitarie per la cura di malati cronici o di convalescenti, soprattutto tubercolotici.
A Pordenone si progettò il nuovo padiglione, che trovò posto in un terreno a nord dell’ospedale, in soluzione di continuità, ma con accesso proprio. Fu il primo vero e proprio nuovo padiglione progettato nel rispetto delle norme delle nuove esigenze. Bello anche nella struttura, con loggiato ed ampia terrazza per soggiorno, esposta al sole, pozzi per discesa della biancheria sporca, 102 letti, stanze per i paganti.
Il bianco edificio era circondato da un ampio giardino con viali alberati (progetto di Sigfrido Blau di Saonara). Ernesto Cossetti, Presidente dell’ospedale, il 16 aprile 1929 firmò il progetto dell’ing. Plinio Polverosi. Lo costruì l’impresa di Giovanni Pavan. Iniziato nel 1930 fu collaudato il primo luglio 1935. Con l’edificio frontestrada e la vecchia cappella, già stalla al tempo della caserma, il sanatorio dovrebbe essere l’unico di quelli che rimarranno del vecchio ospedale, oggi in fase di ricostruzione.
Aggiungiamo due note di storia pordenonese. Durante e dopo la seconda guerra mondiale alcune donne, che poi sarebbero confluite nel CIF(Centro italiano femminile) impegnate a dare sollievo morale e materiale ai tanti ammalati di tubercolosi, spesso lontani dalle famiglie, andavano nelle campagne a raccogliere uova, burro e farina e ne facevano focacce da portare ai degenti perché si nutrissero meglio e li aiutavano a scrivere ai propri cari. Spesso erano reduci di guerra.
Altro episodio di storia locale: ricordiamo che il 24 novembre 1936, a sedici mesi dall’ordinazione sacerdotale, morì nel sanatorio pordenonese don Giuseppe Ragagnin, di 25 anni. Viveva a Roraigrande, proveniva da una povera famiglia originaria di Pasiano, che aveva vissuto gli anni bui della guerra e della spagnola. Don Giuseppe era stato ordinato sacerdote il 7 luglio 1935 a Spilimbergo, con lui tra i tanti ordinati anche don Antonio Giacinto, poi direttore de Il Popolo.
Maria Luisa Gaspardo Agosti
ell’immediato primo dopoguerra l’ospedale di Pordenone dai locali annessi alla chiesa di Santa Maria degli Angeli detta del Cristo in centro città si trasferì in via Montereale. Occupò il luoghi già Caserma Umberto I. I primi degenti ad esservi trasportati furono gli ammalati di Spagnola.
I luoghi erano precari e privi quasi completamente di attrezzatura sanitaria. Col passare del tempo l’ospedale si attrezzò, ma rimase sempre grave il problema degli affetti da tubercolosi.
La tubercolosi o TBC che dalla notte dei tempi ha decimato le popolazioni, soprattutto quelle più deboli e malnutrite, imperversava ancora molto in Italia. Fu solo con l’arrivo degli antibiotici che si poté affrontarla con migliori risultati. Il problema della Tubercolosi, detta anche tisi, o mal sottile che consuma, persisteva ancora nella seconda metà del Novecento.
Precise norme igieniche e comportamenti adeguati venivano impartiti nelle scuole, nelle colonie, nei locali pubblici e anche all’aperto. Molti locali erano dotati, ci si scusi per il termine, delle cosiddette sputacchiere. Recipienti di metallo smaltato, terracotta o vetro, pieni di segatura o di calce, posti in terra, per sputarvi dentro, talvolta forniti di coperchio sollevabile premendo col piede su apposito pedale con opportune precauzioni igieniche.
Ritornando all’ospedale di Pordenone si pensò alla costruzione di un sanatorio. Erano strutture sanitarie per la cura di malati cronici o di convalescenti, soprattutto tubercolotici.
A Pordenone si progettò il nuovo padiglione, che trovò posto in un terreno a nord dell’ospedale, in soluzione di continuità, ma con accesso proprio. Fu il primo vero e proprio nuovo padiglione progettato nel rispetto delle norme delle nuove esigenze. Bello anche nella struttura, con loggiato ed ampia terrazza per soggiorno, esposta al sole, pozzi per discesa della biancheria sporca, 102 letti, stanze per i paganti.
Il bianco edificio era circondato da un ampio giardino con viali alberati (progetto di Sigfrido Blau di Saonara). Ernesto Cossetti, Presidente dell’ospedale, il 16 aprile 1929 firmò il progetto dell’ing. Plinio Polverosi. Lo costruì l’impresa di Giovanni Pavan. Iniziato nel 1930 fu collaudato il primo luglio 1935. Con l’edificio frontestrada e la vecchia cappella, già stalla al tempo della caserma, il sanatorio dovrebbe essere l’unico di quelli che rimarranno del vecchio ospedale, oggi in fase di ricostruzione.
Aggiungiamo due note di storia pordenonese. Durante e dopo la seconda guerra mondiale alcune donne, che poi sarebbero confluite nel CIF(Centro italiano femminile) impegnate a dare sollievo morale e materiale ai tanti ammalati di tubercolosi, spesso lontani dalle famiglie, andavano nelle campagne a raccogliere uova, burro e farina e ne facevano focacce da portare ai degenti perché si nutrissero meglio e li aiutavano a scrivere ai propri cari. Spesso erano reduci di guerra.
Altro episodio di storia locale: ricordiamo che il 24 novembre 1936, a sedici mesi dall’ordinazione sacerdotale, morì nel sanatorio pordenonese don Giuseppe Ragagnin, di 25 anni. Viveva a Roraigrande, proveniva da una povera famiglia originaria di Pasiano, che aveva vissuto gli anni bui della guerra e della spagnola. Don Giuseppe era stato ordinato sacerdote il 7 luglio 1935 a Spilimbergo, con lui tra i tanti ordinati anche don Antonio Giacinto, poi direttore de Il Popolo.
Maria Luisa Gaspardo Agosti
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