Cultura e Spettacoli
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L'opera di Ottavio Sgubin donata ed esposta a Fiumicello

Non poteva che essere a Fiumicello, la prima, commossa iniziativa per ricordare un artista della nostra regione: Ottavio Sgubin (nella foto i parenti di Ottavio con i genitori di Giulio Regeni)

L'opera di Ottavio Sgubin donata ed esposta a Fiumicello

Non poteva che essere a Fiumicello, la prima, commossa iniziativa per ricordare un artista della nostra regione - e del mondo, verrebbe da dire. Perché è Fiumicello il luogo di origine di Ottavio Sgubin, ed è lì, nello spazio raccolto della Galleria comunale, che la famiglia Sgubin, la moglie Piera e le figlie Patrizia e Tiziana, hanno voluto fosse organizzata la prima mostra dopo che, agli inizi di maggio, l’artista è mancato. Un luogo tanto noto oggi, per la vicenda di Giulio Regeni, quanto sconosciuto realmente a molti, disperso nella “bassa friulana”, difficile da trovare anche con il navigatore, e però uno di quei luoghi dove senti lo spessore della storia, una terra intrisa di fatica e di lotte, di povertà e di rivendicazioni sociali: quelle di ieri, dei braccianti agricoli e degli operai del “triangolo rosso” (Cervignano, Aquileia, Terzo e Fiumicello) e quelle, a cui è legata anche la figura di Regeni, dei reietti e degli sfruttati di oggi. Da questa terra, da questo humus fertilizzato dall’impegno umano e sociale, è germinata l’arte di Ottavio Sgubin, come hanno sottolineato gli interventi di Alberto Garlini, Massimo De Mattia e di Silvio Ornella.

Scrittore e amico di Sgubin, Garlini ha sottolineato la profonda istanza etica presente in tutto l’arco di attività dell’artista, non solo nel ciclo dei Barboni – quello che lo ha reso famoso e gli ha fatto meritare l’appellativo di “pittore degli ultimi” – ma fin nelle nature morte e nei paesaggi della prima ora. Perché “l’eccedenza oscena della democrazia”, come scrive Garlini, il suo prevedere necessariamente una quota di residuo, di scarto, di rifiuto, si esprime nella pennellata dell’artista, prima ancora che nei temi, in quel colore che sfibra e riduce ogni cosa a un povero resto.

La riflessione di Garlini si è arricchita quindi dell’intervento musicale di Massimo De Mattia, che ha trasfigurato in chiave jazz le note dell’Hallelujah di Cohen, come a dire, a significare nei suoni, un’istanza insopprimibile alla ricerca, ad andare oltre schemi e convezioni prestabiliti.

Sulla stessa linea l’intervento di Silvio Ornella, che ha letto alcune sue poesie in friulano dedicate a figure emarginate dalla storia, dalla vita – La donna di nebbia, Matti – ma anche alla forza schietta della giovinezza – Per i ragazzi del Kennedy – plasmate in una lingua aspra e dolce insieme, tanto connaturata a questa terra, alla sua rude autenticità.

L’inaugurazione della mostra si è conclusa con un momento di alto significato simbolico: la moglie di Ottavio, Piera, ha voluto donare due opere ai presidenti delle locali sezioni dell’Anpi: uno scorcio della Risiera di San Sabba e L’impiccagione di partigiani, il male della storia che prende forma nell’informe consistenza dei luoghi, nel loro farsi nebbia, fumo, colore stancato e abraso; nel dolore tutto “pittorico”, e per questo così profondo, che contraddistingue il linguaggio di Sgubin.

 

Chiara Tavella

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