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Daya in fuga dall'Isis

Pubblichiamo una storia che verrà presentate lunedì 25 febbraio, a Pordenone, in biblioteca civica. E' contenuta nella rivista Africare, che nasce da un’esperienza straordinaria: studenti del Leo Majo che si fanno docenti di lingua italiana per migranti. Storie vere contro slogan e pregiudizi. Grazie a chi le ha condivise con noi

Parole chiave: Migranti (57), Accoglienza (15), Pordenone (796), Scuola (123)
Daya in fuga dall'Isis

  Mi chiamo Lavan e voglio raccontare la mia storia. Sono nata in Iraq, in un villaggio di nome Dara. Mi sono laureata in letteratura inglese, mi piaceva molto leggere e studiare, uno dei miei libri preferiti era Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen.
All’Università ho conosciuto il fratello di mia cognata, Twana. Io e Twana ci siamo innamorati all’insaputa delle nostre famiglie. Abbiamo aspettato che lui finisse l’Università per dire loro che volevamo sposarci e chiedere l’approvazione.
Pochi mesi dopo io e Twana diventammo marito e moglie. Sono stata molto felice (...). Ma poi mio fratello ha divorziato dalla sorella di Twana e le nostre famiglie pretendevano che lo facessimo anche noi. (...). Le nostre famiglie tentarono in tutti i modi di separarci, mi portarono via con la forza dalla nostra casa e provarono a convincermi a divorziare anche picchiandomi, fino a quando, per la troppa violenza, fui costretta ad andare in ospedale, dove scoprii di essere incinta. Allora non potevo più divorziare perché la mia religione non permette che una donna divorzi mentre aspetta un bambino. Nacque mia figlia dopo pochi mesi, la chiamai Tina, ma non mi permisero di godere della gioia di quel momento perché la famiglia di Twana la portò via da me. Per 9 mesi non seppi più nulla di mia figlia.
Un giorno arrivarono nel mio villaggio i terroristi, tutti dovevamo scappare. Io e mio marito approfittammo del caos per scappare anche dalle nostre famiglie. Preparammo una grande borsa con pannolini, latte, cibo, acqua, vestiti e prendemmo Tina con noi (...).
Iniziammo il viaggio. Andammo in Turchia sperando di passare il confine con la Bulgaria. Eravamo in tantissimi a nasconderci nei boschi e pagammo un uomo perché ci guidasse. Ogni giorno provavamo a oltrepassare il confine, ma trovando la polizia eravamo costretti a tornare indietro. Ricordo che una notte per raggiungere il confine salimmo su una macchina senza finestrini con una sola apertura sul tettuccio. Eravamo in moltissimi dentro e dopo trenta minuti iniziò a mancare l’aria (...). Tina iniziò a piangere e il colore del suo volto cambiò diventando quasi blu (...). Supplicai l’autista di fermarsi e di farmi scendere, ma lui continuava a guidare e non mi rispondeva. Fui fortunata perché al confine trovammo la polizia e tornammo indietro, se la via fosse stata libera ho paura che Tina non sarebbe con me oggi.
Un giorno raggiungemmo la foresta tra la Turchia e la Bulgaria. Dormimmo per terra e sulle rocce; faceva freddo e non avevamo alcuna coperta (...). La mattina l’uomo che ci guidava mi disse che dovevo far star zitta la mia bambina altrimenti il suo pianto avrebbe richiamato la polizia. Fui costretta a darle delle medicine per tranquillizzarla (...) si addormentò così profondamente che mi sembrò morta (...) Quando lei aprì gli occhi mi sentii così sollevata e la strinsi forte a me.
Proseguimmo il cammino, ma era difficile perché dovevamo camminare sulle pietre, mio marito trasportava la pesante borsa, io tenevo Tina, anche se lei spesso piangeva con me perché era cresciuta con mio marito e la sua famiglia e a volte non mi riconosceva. Camminammo così tanto che dopo 10 ore caddi e mi feci male alla gamba (...). Pioveva, non c’era modo di ripararsi (...). I nostri corpi erano tutti bagnati e noi soffrivamo moltissimo il freddo. La notte ci siamo dovuti fermare per riposare, ma non potevamo nemmeno accendere un fuoco per paura che la polizia ci vedesse.
(...) L’acqua iniziò a scarseggiare e rimase solo una bottiglia che tenemmo per dare il latte alla mia bambina. Non sapevamo quando sarebbe finito il viaggio (...). Tra gli orrori e le difficoltà successe una cosa bellissima. Tina disse la sua prima parola: "daya", che in curdo significa "mamma".
Lavan e la sua famiglia riuscirono ad attraversare il confine tra la Turchia e la Bulgaria.
Risalirono la rotta balcanica attraverso la Serbia e la Croazia, raggiunsero l’Austria e la Germania, decisero di andare in Finlandia, ma lì vennero rifiutati, gli dissero che il loro paese era in pace e non correvano pericolo.
Dopo questa lunga odissea giunsero in Italia, dove vivono insieme.
Twana sta cercando lavoro, Lavan sta risparmiando i soldi per pagare la sua certificazione linguistica e avere più possibilità di lavoro, Tina è felice al suo primo anno d’asilo.

Lunedì 25 febbraio ore 16, Biblioteca civica, Sala Degan (Pn)

STORIE D’AFRICA

- Prof.Paolo Venti: La rivista "Africare"
- Prof Teresa Tassan Viol, dirigente
scolastica del Liceo Leopardi-Majorana: Note su un viaggio in Eritrea.
- Studenti del Liceo e partecipanti ad un corso di lingua italiana per profughi: Letture di "storie" pubblicate su "Africare".
- Prof. Fulvio Dall'Agnese: Aspetti di arte africana.

In collaborazione con: - Liceo Leopardi Majorana (Pn), - Centro provinciale istruzione adulti (Pn), - Cooperativa Nuovi vicini

Daya in fuga dall'Isis
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