Domenica 8 maggio, commento di don Renato De Zan
Gesù è il Buon Pastore: nessuno può strappare il discepolo dalle mani di Gesù, che sono le mani del Padre. L’esperienza di salvezza è gratificante per il discepolo, ma contiene una verità sublime.
08.05.2022. 4° domenica di Pasqua-C
Gv 10,27-30
In quel tempo, Gesù disse: “27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29 Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30 Io e il Padre siamo una cosa sola”.
Il discepolo, ascolta, fa esperienza con Cristo e lo imita
Tematica biblico-liturgica
1. Con questa domenica iniziano i vangeli brevi tratti da testi giovannei che alcuni specialisti ritengono essere più appropriati al Gesù Risorto che al Gesù prepasquale. Lo scrittore sacro avrebbe anticipato i discorsi fatti a tavola dal Risorto in due circostanze prepasquali: l’articolata riflessione di Gesù sulla “paroimia” del pastore, il mercenario, la porta e le pecore; alcune parti del lungo discorso dell’ultima cena.
2. Nel testo evangelico di Gv 10,27-30 c’è una bellissima sintesi biblica che spiega che cosa sia la fede, cioè il legame tra i discepoli, simbolicamente rappresentati dalle pecore, e Gesù. Il punto di partenza è l’ascolto (“Le mie pecore ascoltano la mia voce”). Segue l’esperienza con Gesù nella vita quotidiana (“io le conosco”). Si concretizza nella imitazione del Maestro (“esse mi seguono”). Questo cammino culmina con il dono della vita eterna (“Io do loro la vita eterna”).
3. Nel testo evangelico viene anche spiegato il legame tra Gesù e il Padre. Tale legame non è illustrato a livello teoretico-astratto, ma è illustrato dal punto di vista delle “pecore”. Le pecore fanno l’esperienza di non andare perdute perché sono nella mano di Gesù (“nessuno le strapperà dalla mia mano”). Questo essere nelle mani di Gesù equivale ad essere nelle mani del Padre (“nessuno può strapparle dalla mano del Padre”) perché Gesù e il Padre sono una cosa sola.
Dimensione letteraria
1. Il testo evangelico di Gv 10,27-30 ha bisogno di un incipit che chiarisca chi sia il mittente, il soggetto che parla. La Liturgia per questo aggiunge l’incipit: “In quel tempo, Gesù disse”. Il brano può essere suddiviso in tre parti. In Gv 10,27 troviamo la sequenza “ascolto-conoscenza-sequela”. In Gv 10,28 si legge la sequenza “dono della vita eterna - sicura appartenenza a Cristo” e, infine, in Gv 10,30 c’è il legame tra i due momenti precedenti: “Gesù e il Padre, una cosa sola”.
2. C’è anche un secondo modo di leggere questo breve brano. Diversi esegeti lo dividono in due parti. Nella prima, Gv 10,27-28a, viene illustrato il rapporto tra Gesù e i suoi discepoli, simbolicamente rappresentati dalle pecore. Questo rapporto è rappresentato da ciò che fanno le pecore (ascoltano la voce del pastore, lo seguono) e da ciò che fa Gesù, il pastore per loro (io le conosco, do loro la vita eterna). Nella seconda parte, Gv 10,28b-30 viene illustrato il rapporto tra Gesù e il Padre attraverso l’esperienza che fanno le pecore (nessuno le strapperà dalla mia mano / nessuno può strapparle dalla mano del Padre).
Riflessione liturgico-biblica
1. Se Dio non parlasse l’uomo morirebbe: “A te grido, Signore; non restare in silenzio, mio Dio, perché, se tu non mi parli, io sono come chi scende nella fossa” (Sal 28,1). Dio parla nella creazione, nella storia, nella Scrittura e, soprattutto, nel Figlio (cfr Eb 1,1-2: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio”). Paolo, a sua volta precisa: “La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rm 10,17). Gesù era stato chiaro: “Le mie pecore ascoltano la mia voce”.
2. L’ascolto di ciò che Gesù dice e fa, dunque, è fondamentale per la fede. Ma, alla fine, l’ascolto è essenziale per avere la vita eterna (“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna”). Il rifiuto dell’ascolto della Parola diventa rifiuto della vita eterna. Così dice la prima lettura, At 13,14.43-52. I giudei di Antiochia di Pissidia respinsero la Parola di Dio offerta loro da Paolo e Barnaba. Per questo i due apostoli dissero: “Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi (= giudei) la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani” (At 13.46).
3. L’ultimo passaggio annunciato dalle parole di Gesù è ricco di serena speranza: “Non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”. Il concetto era già stato detto a Nicodemo (Gv 3,16): “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. Gesù riprende il concetto con altre parole in Gv 6,39: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno”. La nostra salvezza dipende anche da noi, ma dipende anche da Dio.
4. Nessuno può strappare il discepolo dalle mani di Gesù, che sono le mani del Padre. L’esperienza di salvezza è gratificante per il discepolo, ma contiene una verità sublime. Essere nelle mani del Padre o essere nelle mani di Gesù è la stessa cosa perché Gesù e il Padre sono “una cosa sola”, pur il Padre rimanendo Padre e il Figlio rimanendo Figlio.
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