Commento al Vangelo
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Domenica 5 luglio, commento di don Renato de Zan

Perché Dio ha deciso di rivelare la sua identità ai "bambini"? La risposta può apparire sconcertante: "Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te". Nessuno può chiedere a Dio: "Che fai?".

Parole chiave: Vangelo (131), Domenica (46), De Zan (48)
Domenica 5 luglio, commento di don Renato de Zan

Mt 11,25-30
25 In quel tempo Gesù disse: "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27 Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. 28 Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero".

Tematica liturgica
Il profeta Zaccaria aveva annunciato che il Messia sarebbe stato "giusto, vittorioso e umile" (Zc 9,9). Quando Gesù dice di essere "mite e umile di cuore" (Mt 11,29) non solo evidenzia un aspetto della sua identità messianica, ma anche allude all’adempimento nella propria persona della profezia veterotestamentaria. Il mite e l’umile di cuore non può trovarsi interiormente in sintonia con chi pensa di essere potente e di conseguenza diventa arrogante e pieno di sé. Il Padre ha scelto di rivelarsi ai piccoli (in greco "nèpioi"), che non sono i piccoli, ma i "bambini" (cioè i discepoli) e si trovano dalla parte opposta dei sapienti e dei dotti (in greco "sofòi" e "synetòi"). La rivelazione umile che il Padre compie potrebbe non essere apprezzata da chi pretende da Dio - come dice S. Paolo in 1Cor 1,22 - la potenza dei "miracoli" e la "sapienza" umana. "Sapienti" e "dotti", dunque, non sono solo i maestri della legge (sapienza umana) che si sentono superiori agli altri, ma sono anche coloro che si sentono superiori agli altri perché seguono la fede attraverso la via del miracolismo e della straordinarietà carismatica. Gesù, dicendo di sé che è "mite e umile di cuore", si colloca dalla parte dei "nèpioi".
Dio si rivela a coloro che hanno chiare la percezione e l’esperienza che Dio è oltre i pensieri e le idee degli uomini (cf Is 55,8-9), oltre i miracolismi (cf 1Cor 1,22). Tuttavia è totalmente fuori luogo pensare che per essere discepoli di Gesù sia necessario essere ignoranti secondo l’accezione umana del termine e rifiutare gli interventi miracolosi di Dio. Se fosse così, non si capirebbe perché Dio abbia scelto Paolo o Giovanni - persone di una cultura teologica raffinata e altissima - o gli altri scrittori sacri come co-autori delle pagine ispirate della Scrittura. Non si capirebbe neppure perché Pietro dice che i discepoli di Gesù devono essere "pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi" (1Pt 3,15). E non si capirebbe perché i "segni accompagnino la predicazione della Parola" (cf Mc 16,20).
Perché Dio ha deciso di rivelare la sua identità ai "bambini"? La risposta può apparire sconcertante: "Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te". Nessuno può chiedere a Dio: "Che fai?".
Isaia mette in guardia l’uomo da questa tentazione, dicendo: "Guai a chi contende con chi lo ha plasmato, un vaso fra altri vasi d’argilla. Dirà forse la creta al vasaio: "Che cosa fai?" oppure: "La tua opera non ha manici"?" (Is 45,9).
Gesù più volte affronta il tema della suprema libertà di Dio nel suo agire. Basti ricordare la parabola degli operai dell’ultima ora. Il padrone, rivolgendosi a chi gli rimproverava una presunta ingiustizia, rispondeva: "Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?" (Mt 20,15). Anche nella scelta di rivelarsi ai "bambini" c’è una scelta di bontà che è di gran lunga oltre la giustizia perché la bontà è gratuita, la giustizia no.

Dimensione letteraria
Questa volta la Liturgia non ha toccato il testo evangelico originale. L’espressione "In quel tempo Gesù disse" appartiene al testo di Matteo. Ci sono piccole discrepanze tra il testo greco originale e la traduzione italiana. In greco, Gesù risponde a qualcuno (greco: "In quel tempo, rispondendo, Gesù disse"). Forse si trattava della risposta alle folle (?). Inoltre Gesù fa una preghiera di testimonianza (greco: "Confesso - exomologùmai - a te, Padre.."), mentre in italiano è diventata una preghiera di lode o preghiera di ringraziamento. Gesù intendeva confessare come il Padre avesse una preferenza particolare per donare la sua rivelazione ai "bambini" (in geco "nèpioi"; non "piccoli" che in greco sono i "mikròi"). L’uso del vocabolo "népios" (bambino) è dovuto alla contrapposizione tra i discepoli di Gesù (nèpioi) e coloro che avevano una competenza "accademica" della Legge (sapienti e dotti = sofòi, synetòi). Il testo è letterariamente diviso in quattro parti: la brevissima introduzione (v. 25a), la preghiera (vv. 25b-26), il detto sapienziale di autorivelazione (v. 27) e la chiamata del discepolo con l’insegnamento (vv. 28-30). Mentre la benedizione e la chiamata manifestano chiaramente i destinatari (il "Padre, Signore del cielo e della terra" e "voi che siete affaticati ed oppressi"), l’autorivelazione non si sa a chi sia indirizzata. Si può ipotizzare che i destinatari possano essere gli stessi ai quali Gesù rivolge la chiamata a seguirlo. Stando così le cose, bisogna allora rilevare che l’autorivelazione e la chiamata sono strettamente congiunte.

Riflessione biblico-liturgica
a. Corazin, Betsaida e Cafarnao (cfr Mt 11,20-21) non avevano accolto i segni di Gesù (miracoli e predicazione) e non si erano convertite. I "nèpioi" invece accettano i segni e si convertono.
b. Per i rabbini la Legge era il vero "giogo" dell’uomo. Con Gesù il giogo diventa Lui stesso, che è la Sapienza di Dio.

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